Albero e Foglia
di J.R.R. Tolkien
Traduzione di Francesco Saba Sardi
Rusconi, Milano, 1° ed. 1976, pp. 222
Copertina di Piero Crida
Rilegato con sovraccoperta
C'era una volta un omino di nome Niggle. Niggle faceva il
pittore. Niggle era di quei pittori cui riescono meglio le foglie che non gli
alberi, e di solito dedicava molto tempo a un'unica foglia, nel tentativo di
coglierne la forma, la lucentezza, l'iridescenza delle gocce di rugiada sui
margini. C'era un quadro che soprattutto lo assillava. Era cominciato con una
foglia preda del vento, ed era divenuto un albero. Poi, tutt'attorno e dietro
all'albero, cominciò ad allargarsi un paesaggio. Ben presto, la tela divenne
così vasta che Niggle dovette procurarsi una scala...
Note nei risvolti
Si presentano qui alcune fiabe di J.R.R. Tolkien, precedute da
un saggio sulla fiaba.
Accostare la saggistica e la narrativa di Tolkien non vuol dire
giustapporre due settori della sua attività, ma offrire due profili diversi
dello stesso scrittore. Lo scrittore ha un rapporto con il linguaggio dal quale
esula ogni violenza, un rapporto che non consente alcuna artificiosa
separazione fra contenuti e stile, ispirazione e applicazione, conscio e
inconscio. Perciò la continuità fra il saggista e il narratore è assoluta, in
Tolkien, come quella fra il saggista e il poeta in Eliot e in Auden.
Sia nella critica che nel racconto di Tolkien si nota la stessa
grande e tipica qualità: la serietà del mistico e del metafisico è sempre
mediata dall'umorismo, come è sempre filtrata dall'erudizione.
Conoscitore massimo della letteratura anglosassone, alla quale
introdusse generazioni di studenti oxoniani, Tolkien ha scritto, con Il Signore
degli Anelli, un'epopea secondo le regole del genere cavalleresco,
«diventando», commenta Elémire Zolla, «il servitore appassionato delle forze
stesse che aveva sentito pulsare nei versi di uomini morti da più di un
millennio». Tutto ciò si ripresenta nell'ultimo racconto di questo libro: Il
ritorno di Beorhtnoth, figlio di Beorhthelm.
«A chi sostiene che la sua opera è un'evasione dalla realtà»,
scrive ancora lo Zolla, «Tolkien replica, nel saggio Sulla fiaba, che, certo,
una fiaba è un'evasione dal carcere e aggiunge: chi getta come un'accusa questa
che dovreebbe essere una lode commette un errore forse insincero, accomunando
la santa fuga del prigioniero con la diserzione del guerriero, dando per
scontato che tutti dovrebbero militare a favore della propria degradazione a
fenomeni sociali. Non si possono ignorare le realtà presenti, impellenti,
inesorabili!, dicono ancora i custodi della degradazione. Realtà transitorie, corregge
Tolkien. Le fiabe parlano di cose permanenti: non di lampadine elettriche, ma
di fulmini. Autore o amatore di fiabe è colui che non si fa servo delle cose
presenti. Esiste una fiaba suprema, che non è una sottocreazione, come altre,
ma il compimento della Creazione, il cui rifiuto conduce alla furia o alla
tristezza: la vicenda evangelica, in cui storia e leggenda si fondono».
Indice
ALBERO E FOGLIA
Sulle fiabe
«Foglia», di Niggle
FABBRO DI WOOTTON MAJOR
IL RITORNO DI BEORHTNOTH FIGLIO DI BEORHTHELM