lunedì 28 marzo 2016

Tolkien, Joyce, Stein e il flusso di coscienza: la tesi sulla datazione di Un vizio segreto (poi rimossa)



Nel 2015 ho pubblicato J. R. R. Tolkien l’esperantista. Prima dell’arrivo di Bilbo Baggins, un volume che comprende anche il lavoro firmato da Arden Smith e Patrick Wynne, la prefazione di John Garth. Il mio contributo, fino a pochi giorni prima della stampa, conteneva un’appendice nella quale tentavo di datare il saggio Un vizio segreto, il celebre testo in cui Tolkien citava "un congresso esperantista tenutosi a Oxford". Datare il testo su quel suo “vizio” d’inventare lingue, dove in apertura si mostrava apprezzamento per quella pianificata dal polacco Zamenhof, era interessante perché direttamente connesso con la ricostruzione storico-biografica del rapporto tra Tolkien e il movimento esperantista britannico. Suo figlio Christopher, inserendo il testo del padre nella raccolta Il medioevo e il fantastico (The Monsters and Critics and Other Essays), precisò di non sapere quale fosse la data di stesura in quanto non vi era traccia su nessuno degli appunti, ma scelse di datarla “1931”, poiché il padre scrisse, in apertura del saggio: «Forse alcuni di voi sapranno che un anno fa, o più, a Oxford si è tenuto un convegno sull’esperanto; o forse no, non lo sapete affatto» (Tolkien 2013, 283).
Poiché nel mio libro scrivo di quel testo e in mancanza ancora di certezza sulla datazione, provai a ipotizzare alcune date possibili. In fase di rilettura del testo prima d’inviarlo in stampa, e su suggerimento di John Garth, scrissi a Dimitra Fimi che, con Andrew Higgins, stava curando una nuova edizione commentata proprio di Un vizio segreto (A Secret Vice) per HarperCollins. Un lavoro, che mi era stato già anticipato in una mail del 29 luglio 2014 da David Brawn, direttore editoriale dell’HarperCollins, nella quale appresi che: «a new edition of A Secret Vice is currently in preparation».
Dimitra fu straordinariamente disponibile e gentile, al punto da leggere il testo e rispondermi nel settembre 2015:
Grazie per aver condiviso con me la bozza del libro. Ha un aspetto magnifico e sono sicura che attirerà l’interesse degli studiosi di Tolkien e degli esperantisti. Ho avuto una buona e attenta lettura della tua appendice sulla datazione di A Secret Vice. Devo dire che sono rimasta molto impressionata dalla tua ricerca in quella sezione, e l'argomento che proponi – sulla base degli elementi che tu citi – è veramente forte. Tuttavia, l'edizione estesa di A Secret Vice, che sto preparando con Andrew Higgins (ora siamo nella fase delle bozze) contraddice purtroppo le tue ipotesi. Infatti, ora sappiamo con certezza quando Tolkien ha pronunciato A Secret Vice, sulla base di prove esterne piuttosto solide.
Così appresi che il lungo e attento lavoro di ricerca di Dimitra e Andrew, due eccellenti e stimati studiosi, avrebbe finalmente dato certezza di datazione del saggio di Tolkien e questo loro lavoro, anche se sarebbe uscito diversi mesi dopo il mio, mi pose dinanzi a una scelta: pubblicare le mie ipotesi, anche se consapevole che dopo pochi mesi sarebbero state superate, o scegliere di tagliare quella parte di mesi di ricerca. Fingere di non saper nulla oppure esser onesti con i lettori e con me stesso. Alla fine ho scelto di non inserire quella parte, anche se mi era costato tempo in ricerca e studio.

Oggi, dopo la pubblicazione del mio saggio, che vede anche un'edizione inglese e una in portoghese (in lavorazione) e a seguito dall’uscita in libreria di A Secret Vice (il 7 aprile 2016) – in cui Dimitra e Andrew citano il mio lavoro – ho pensato di pubblicare qui le ipotesi cui facevo cenno. La scelta non nasce certamente per la questione datazione, confermata nel 1931, ma per alcuni spunti che forse meriterebbero maggiori approfondimenti, e non solo da parte di chi vi scrive, su quanto Tolkien fosse attento anche ai lavori dei suoi contemporanei come, in questo caso, James Joyce e Gertrude Stein, e al movimento letterario dei modernisti.

Appendice
Un vizio segreto

Il mio lavoro di ricerca si è posto l’obiettivo di presentare i diversi punti di contatto tra J. R. R. Tolkien e il movimento esperantista britannico. Di certo appare indicativo il saggio nel quale Tolkien fece cenno all’esperanto, Un vizio segreto, che il figlio Christopher, pubblicandolo alcuni anni dopo la scomparsa del padre, lo presentò così:

Esiste in un’unica copia manoscritta, priva di data e di qualsiasi indicazione circa l’occasione in cui il discorso fu pronunciato. Ma è evidente che il pubblico doveva essere un gruppo di filologi, e il Congresso di Esperanto a Oxford, cui si fa riferimento all’inizio del saggio, dicendo che aveva avuto luogo “un anno fa, o più”, fu tenuto nel 1930. Così si può stabilire la data del 1931. (Tolkien 2013, 25)
Una data, quella del 1931, molto plausibile anche se alcune informazioni possono spingerci a ipotizzare almeno altri due periodi durante i quali Tolkien avrebbe potuto scrivere la prima stesura del saggio.
Un primo periodo potrebbe essere successivo alla datazione proposta da Christopher, tra il 1934 e il 1936. Un’ipotesi che scaturisce da un “dubbio” sollevato dallo stesso Tolkien in apertura di Un vizio segreto: «Forse alcuni di voi sapranno che c’è stato, un anno fa o poco più, un congresso a Oxford, un congresso di esperanto; o forse non l’avete sentito affatto». Tolkien pensava che l’uditorio, con molta probabilità, non avesse sentito parlare del Congresso esperantista e questo fa pensare che il riferimento non fosse a quello universale del 1930, giacché questi coinvolse gli ambienti universitari di Oxford e suscitò grande interesse in città, ma, al contrario, al Congresso annuale britannico del 1933. Quest’ultimo, nel quale Tolkien fu tra i Patrons, infatti, non registrò molto interesse così come confermato anche dagli stessi promotori che nella relazione finale sui lavori scrissero: «a causa delle difficoltà attuali, ha raccolto solo 154 partecipanti; tuttavia, si è condiviso che, anche se piccolo e senza pretese, è stato uno dei più felici e tutti si sono sentiti davvero in un’intima cerchia familiare».[1]
Se per l’ipotesi appena espressa non si è trovata alcuna conferma o riscontro documentale oltre la supposta conoscenza o meno del Congresso esperantista, ve ne è una seconda che può essere argomentata in maniera più compiuta e indica un periodo precedente compreso tra il 1926 e il 1928.
I passaggi a sostegno di questa seconda ipotesi sono diversi. Il primo è riferibile alla lingua inventata del Nevbosh: «Sono convinto che riuscirei tuttora a compilare un vocabolario di Nevbosh molto più corposo di quanto sia riuscito a fare Busbecq per il gotico della Crimea, nonostante sia lingua morta ormai da più di vent’anni» (Tolkien 2013, 290).
Con il fratello Hilary dal 1904, anno della scomparsa di sua madre, passò alcuni periodi delle vacanze scolastiche a Barnt Green, Worcestershire, vicino a Rednal, ospite di Walter Incledon e sua moglie Edith Mary Suffield, sorella di Mabel, mamma dei fratelli Tolkien. Walter e May avevano due figlie, Marjorie e Mary, le quali fecero conoscere al giovane Ronald l’Animalico, una lingua da loro inventata e chiamata così poiché costruita principalmente con nomi di animali. Tra il 1906 e il 1907, durante un soggiorno dagli Incledon, Ronald apprese che sua cugina Marjorie si era disinteressata dell’Animalico, e che sua sorella Mary (Scull-Hammond 103)[2] si stava cimentando nella creazione di un linguaggio più “sofisticato”, per l’appunto, il Nevbosh o “Nuovo Nonsense” cui Tolkien partecipò «contribuendo alla costruzione del vocabolario e influenzandone l’ortografia (Tolkien 2013, 290)». Tra il 1908 e il 1909, Tolkien abbandonò il Nevbosh per dedicarsi a un nuovo linguaggio «Il Naffarin, una creazione squisitamente personale che va in parte a sovrapporsi alle vestigia del Nevbosh, e che non è mai stato condiviso» (Tolkien 2013, 297-298). L’interesse per il Nevbosh, quindi, si ebbe tra il 1906 e il 1907, quando Tolkien aveva appena quattordici – quindici anni, e ciò comporta che il rimando al tempo passato tra la sua conclusione e la presunta data di stesura della prima versione di Un vizio segreto, «ormai da più di vent’anni», possa rientrare nel periodo supposto, 1926-1927.

Un altro passaggio è quello in cui, riferendosi all’esperanto, scrisse «di conseguenza mi appare come un “linguaggio umano scevro delle complicazioni dovute all’opera dei troppi cuochi che rovinano la minestra”: e questa è per me la miglior descrizione della lingua artificiale ideale.» Il virgolettato di Tolkien apre diversi scenari e di questi non tutti fuori luogo. Non escludendo che Tolkien abbia potuto utilizzare un modo di dire molto comune in Inghilterra che riprende, infatti, il proverbio “Troppi cuochi rovinano il brodo” (Too many cooks spoil the broth) utilizzato già nel 1575 nel volume The Life of Sir Peter Carew di John Hooker, è probabile che il riferimento fosse a una frase utilizzata da qualcun altro, magari esperantista o linguista. Zamenhof, ad esempio, la inserì nel 1905 prima nel suo Fundamento de Esperanto (Zamenhof 1905, 37) e poi, nel 1910, in Proverbaro Esperanta traducendolo Tro da kuiristoj kaĉon difektas (Troppi cuochi guastano la cucina). Nel 1925, George Cox, nel suo The International auxiliary language, pubblicato dalla British Esperantist Association (BEA), lo riportò tra gli esempi alla voce numero 246, avverbi di quantità, tradotto come «Tro da kuiristoj malbonigas la bullono = Troppi cuochi rovinano il brodo» (Cox). L’anno successivo apparve nella traduzione inglese dei Proverbs di Zamenhof, a cura di Montagu Butler, che lo riportò anche nel suo libro Step by step in Esperanto, pubblicato dalla BEA per la prima volta nel 1928 che ebbe diverse e fortunate ristampe. [3].
La frase di Tolkien, inoltre, può essere letta come una risposta “ironica” alle posizioni del collega filologo e glottoteta Otto Jespersen, professore d’inglese all’Università di Copenaghen, fondatore a Parigi nel 1886, assieme a Paul Passy, della più importante associazione di fonetica, l’International Phonetic Association, e che collaborò alla creazione della lingua artificiale dell’Ido. Una lingua che nel 1928, Jespersen superò lanciandone una nuova, il Novial, di cui Tolkien, nella lettera del 1932 al «The British Esperantist», avrebbe scritto:
N[ovial] ad esempio è ingegnoso, e più semplice dell'Esperanto, ma orrendo: c'è scritto sopra "prodotto di fabbrica", o meglio "fatto con pezzi di ricambio", e non ha quel bagliore di individualità, coerenza e bellezza che sprigiona dai grandi idiomi naturali, e che si ritrova a un livello considerevole (probabilmente il più alto livello possibile per un idioma artificiale) in Esperanto. (Tolkien 1932, 182)
Jespersen presentò il Novial nel libro An International Language, recensito dal noto saggista americano Henry Louis Mencken, su «The American Mercury» nel 1928, il quale, definì Jespersen: «uno dei filologi viventi più eminenti [per] i progetti di riforma di questa o quella lingua, e i tentativi compiuti d’inventare completamente nuove lingue internazionali, presentando i piani e le specifiche per una nuova lingua che chiama Novial, da nov = nuova e ial = lingua ausiliaria internazionale (Mencken 382)».
Aggiungendo come Jespersen, nel suo libro:
ripassa brevemente la storia dei precedenti sforzi nella stessa direzione, e mostra come e perché hanno fallito. Il volapük era troppo duro e arbitrario; inoltre, le sue inflessioni erano troppo complicate. L’esperanto era pieno di rozzezza, e comprendeva complicazioni inutili. L’ido era un brodo viziato da troppi cuochi. (Mencken 382)
In quest’ultimo passaggio sembra esserci il giudizio espresso da Tolkien che, per esaltare la “purezza” dell’esperanto nei confronti dell’Ido, può aver utilizzato e trasformato in punto di forza il giudizio negativo espresso da uno dei suoi creatori che lo definì, appunto, “brodo viziato da troppi cuochi”.
Ma l’ipotesi di un periodo precedente al 1930 solleverebbe il dubbio a quale Congresso esperantista Tolkien si riferisse in apertura del suo saggio, giacché i Congressi noti si tennero nel 1930 e nel 1933. In realtà la città di Oxford ospitò, nel 1925, il quinto Congresso dell’Organizzazione Internazionale Cattolica (IKA) fondata nel 1920 a L’Aia da attivisti provenienti dall’Unione Internazionale Cattolica Esperantista (IKUE)[4] e dalla Croce Bianca (Blanka Kruco), guidati dal presidente di quest’ultima, il sacerdote cattolico Max Josef Metzger. Tra i primi movimenti cattolici internazionali, e non solo esperantisti: «nei suoi congressi tiene sessioni tematiche con docenti, giornalisti, assistenti agli emigranti e tanti altri” (Kökény 395) con il motto “Cattolici di tutto il mondo unitevi! (Kökény 466)». È probabile che Tolkien ne avesse avuto notizia, anche se non si trova riscontro di una sua partecipazione attiva.
A sostegno di questa tesi, gli ultimi spunti che qui si portano all’attenzione del lettore non si trovano nel testo conosciuto di Un vizio segreto, ma provengono dalla collocazione del manoscritto originale conservato presso la Bodleian Library di Oxford e catalogato nella sezione ‘1’ Manoscritti, numero ‘24’: «MSS. Tolkien 24. Conferenza sul linguaggio inventato, A Hobby for the Home, in seguito chiamato Un vizio segreto, con (cc. 35-22) note e versioni delle poesie citate e comprende le note su Finnegans Wake (cc. 44-5). 53 fogli (Bodleian Library, A list 4)». Gli ultimi due fogli citati, fanno riferimento all’opera dello scrittore e poeta irlandese James Joyce, iniziata nel marzo 1923, e apparsa per la prima volta a puntate sul periodico di Eugene e Maria Jolas «Transition» con il titolo Work in Progress, poi pubblicata, il 4 maggio 1939, in volume unico con il titolo reso noto solo poco prima dell’uscita: Finnegans Wake.[5] Appare chiaro che il testo sul Finnegans Wake è successivo alla stesura di A Secret Vice, giacché pubblicato con quel titolo solo nel 1939, ma alcuni appunti di Tolkien su quelle due pagine, possono suscitare qualche interesse in questa nostra divagazione: i nomi «Gertrude Stein» e «Anna Livia Plurabelle» e la tecnica narrativa del «flusso di coscienza».[6]
Nomi e concetti, quelli riportati sulle due pagine riferite al Finnegans Wake che afferiscono al movimento letterario conosciuto come “Modernismo”, i cui protagonisti, insieme a Stein e Joyce, sono ormai pilastri della letteratura universale: Thomas Eliot, Ezra Pound, Francis Scott Fitzgerald, Wyndham Lewis, Virginia Woolf ed Ernest Hemingway.[7]

Il nome della poetessa e autrice statunitense Gertrude Stein annotato da Tolkien, può esser collegato all’opera di Joyce ma anche a due episodi che, tra il 1926 e il 1928, la videro protagonista a Oxford, città in cui il Professore ritornò da Leeds, il 7 gennaio 1926, con la nomina a titolare della cattedra Rawlinson and Bosworth di Studi anglosassoni.
Nel 1925 la Stein, che viveva in Francia, ricevette una lettera d’invito dal presidente della Società letteraria di Cambridge per una conferenza da tenersi in primavera in quella città. All’invito rispose inizialmente con un rifiuto ma, l’intervento della saggista e poetessa inglese Edith Sitwell,[8] che pochi mesi prima era stata sua ospite in Francia, la convinse ad accettare anche perché da Oxford attendevano la conferma per Cambridge per chiederle di fare lo stesso da loro (Van Vechten 192). Alcuni mesi dopo, la poetessa americana si recò in Inghilterra e, accompagnata dalla Sitwell, tenne le due conferenze dal titolo Composition as Explanation [9] al Trinity College di Cambridge, venerdì 4 giugno e, su invito di Harold Acton, che conobbe a Firenze, al Christ Church College di Oxford, il 7 giugno 1926, a pochi metri dal Pembroke College dove Tolkien era associato (Burns 126-127).
In questi due appuntamenti, la Stein raccontò il suo “difficile” modo di scrivere attraverso la pregiata combinazione di teoria letteraria, commento storico – riferendosi al primo conflitto mondiale –; confessioni personali in cui discusse del presente prolungato e presente continuo – dove un personaggio o un oggetto è ogni volta mostrato nell’identità da prospettive differenti –; e il suo approccio del ricominciare.
L’anno successivo, il 17 giugno 1928, il giovane filosofo americano Ralph Withington Church [10] tenne la conferenza A Note on the Writing of Gertrude (Church 1928) su invito della Johnson Society[11] al Pembroke College, dove insegnava Tolkien. Dai documenti oggi pubblicati non risulta che Tolkien prese parte a nessuna delle due conferenze citate, anche se è possibile pensare che ne fosse a conoscenza.

Anna Livia Plurabelle, è invece strettamente connessa all’opera joyciana del Finnegans Wake, essendo il nome di un personaggio chiave dell’opera e il titolo dell’omonimo libretto. Joyce pubblicò per la prima volta Anna Livia Plurabelle il primo ottobre 1925 sulla rivista «Le Navire d’Argent» per poi, dopo diverse integrazioni e modifiche, pubblicarlo in un volumetto prima con la newyorkese Crosby Gaige, il 29 ottobre 1928, e a seguire, il primo maggio 1930, con l’inglese Faber and Faber. Nel 1939, infine, l’inserì come ottavo capitolo della prima parte del Finnegans Wake.
Anna Livia [12] è la moglie di Humphrey Chimpden Earwicker, proprietario dell’osteria The Bristol a Dublino, protagonista della storia che si svolge interamente durante un sogno di quest’ultimo. Anna Livia Plurabelle fu un testo molto caro a Joyce e di cui Arnold Bennett, nel presentare l’edizione del 1928, scrisse:
L’ultimo dei miei ribelli è James Joyce, un uomo che ha fatto grandi cose. […] Ma io non riesco a comprenderlo. Perché è scritto nella nuova lingua di James Joyce, inventata da lui stesso. Ecco alcune parole da una pagina: limpopo, sar, icis, seints, zezere, hamble, blacburry, dwyergray, meanam, meyne, draves, pharphar, uyar. Dovrebbe essere pubblicato con un dizionario di Joyce. Qualcuno (ho letto da qualche parte) gli ha detto: “Io non lo capisco” e Joyce gli ha risposto: “Ma dovrai”. Joyce è un ottimista. Il linguaggio umano non può essere trattato con la stessa violenza con la quale era abituata qui in inglese. E Anna Livia Plurabelle non sarà mai altro che il capriccio selvaggio di un meraviglioso artista creativo che ha perso la strada. [13]
Un aspetto linguistico che, senza meraviglia, potrebbe aver suscitato una qualche curiosità nel Tolkien filologo e costruttore di linguaggi se, la citazione di Anna Livia Plurabelle, la ritroviamo anche in un testo che scrisse su un mezzo foglio strappato che reca l’intestazione «Oxford».[14] Tolkien, «sul rovescio della metà inferiore di una tabella comparativa di consonanti in vari dialetti elfici (Smith 88)», scrisse in caratteri Tengwar l’Ave Maria, il Padre Nostro e la Salve Regina e in alto riportò: «Anna Livia Plurabelle / Professor John Ronald Reuel Tolkien / Venti Northmoor Road, Oxford (Smith, 87-89)», con il nome di Anna Livia Plurabelle da lui barrato. L’indirizzo riportato era quello in cui visse con la famiglia dal 14 gennaio 1930 al 14 marzo 1947.
E qui si fermano gli spunti e le informazioni utili a supporre una datazione di A Secret Vice in un periodo compreso tra il 1926, anno dopo il congresso degli esperantisti cattolici a Oxford, e il 1928 anno di pubblicazione di Anna Livia Plurabelle e la fine della lingua artificiale ausiliaria dell’Ido. Divagazioni, si accennava poc’anzi, ma che si è ritenuto interessante, a margine di questo lavoro, presentare al lettore almeno fino a quando non si pubblicheranno documenti che datano con certezza il saggio tolkieniano.

In conclusione si aggiunge una postilla, questa non di poco conto, sulla terza annotazione di Tolkien presente sugli appunti del Finnegans Wake relativa al flusso di coscienza (stream of consciousness), un esplicito riferimento al modo di rappresentare liberamente i pensieri del protagonista ancor prima che questi assumano una forma logica in frasi. Una tecnica usata dalla Stein e da Joyce con la prima, che ne fu condizionata dal suo professore al Radcliffe College, lo psicologo William James, che dedicò a questa libera espressione il nono capitolo, The Stream of Consciousness, del suo Psychology nel quale combinò il fascino della psicologia della coscienza con la psicologia del linguaggio e l'uso delle parole. Ma che in Joyce, invece, trovò la massima applicazione – non a caso è considerato il suo massimo esponente – utilizzata prima nel suo Ulisse (1922), e poi espansa, fino al limite massimo, nel successivo Finnegans Wake in cui il lettore: vive lo stravolgimento delle regole ortografiche e grammaticali, conosce dialetti e lingue spesso a lui ignote o inventate, parole in cui consonanti e vocali si alternano senza un’apparente logica, con idiomi noti solo al suo “inventore” per l’assenza della punteggiatura.
È davvero interessante come i riferimenti a Joyce, alla Stein e al flusso di coscienza, si ritrovano assieme alla bozza di quella che si considera la confessione personale di Tolkien nella costruzione di linguaggi. Quindi un Tolkien modernista? Come gli autori dell’Ulisse e di The Autobiography of Alice B. Toklas, lui è figlio «dello stesso secolo, vicino nel tempo e non dissimile nel background (Shippey 304)», ma ciò non basta a definirlo un autore modernista anche se, come scrive Tom Shippey, le: «recenti e autorevoli definizioni di modernismo (mi riferisco a The Oxford Companion to English Literature, compilato da Margaret Drabble, 1998, e alla Johns Hopkins Guide to Literary Theory and Criticism di Michael Groden e Martin Kreiswirth, 1994) sovente appaiono applicabili a Tolkien, in prima battuta (Shippey 306)». Infatti, ci sono alcuni aspetti caratteristici di quel movimento letterario – come l’attenzione alla mitologia, alla storia delle religioni o all’antropologia oppure la costruzione di linguaggi – che, erroneamente, possano apparire riferibili a Tolkien che invece, come annota ancora Shippey:
Usa “metodi mitici” perché crede che i miti siano veri. Ritrae i suoi personaggi brancolare nel buio ed esprimere giudizi del tutto erronei non perché voglia mandare in frantumi l'”illusione realista” del romanzo, ma perché pensa che tutte le nostre opinioni sulla realtà siano illusioni, e che ognuno di noi in qualche modo “brancoli nel buio”, perso nelle foreste della Terra di Mezzo che impediscono di vedere le stelle. Egli sperimenta nuovi linguaggi non per osservare quali effetti possano produrre, ma perché pensa che tutte le forme di linguaggio umano siano un esperimento. Si potrebbe quasi dire che prenda sul serio gli ideali del modernismo anziché giocarci. (Shippey 308)
Così come non nutriva ammirazione per la tecnica tipica dei modernisti dell’introspezione, che non utilizzava giacché nelle culture da cui trae spunto, l'introspezione non era né ammirata né utilizzata (Shippey 308). La sua era una naturale curiosità per quel nuovo fermento letterario che in molti consideravano rivoluzionario e che conferma l’ancoraggio al suo tempo e la consapevolezza di quanto gli accadeva attorno. Ma quanto sin qui riportato, apre a più ampie e interessanti considerazioni stilistico-linguistiche, che non possono certamente essere qui ancor più sviluppate di quanto sia già stato fatto e questo, sia per la complessità dell’argomento sia per la materia oggetto del presente lavoro. L’augurio è che possa esser da altri preso come punto di partenza per nuovi approfondimenti.

NOTE



[1] La 24a Brita Esperantista Kongreso, «The British Esperantist», Londra, giugno 1933, p. 97.
[2] Hilary Tolkien e Mary Incledon, diventata cattolica, saranno i padrini, il 22 novembre 1917, di battesimo del primo figlio di Ronald ed Edith, John Francis Reuel Tolkien.
[3] Nell’aprile 1933, «The British Esperantist» pubblicò il bilancio della BEA e alla voce Libri venduti riportò l’importo in sterline di 466 al 28 febbraio 1933 a fronte di 118 sterline al 29 febbraio 1932. A fianco del primo importo, la nota «Questo dato è molto incrementato dalla pubblicazione di una nuova edizione di Step by Step in Esperanto» [Office Jottings, «The British Esperantist», Londra, aprile 1933, p. 80].
[4] Alcuni membri dell’IKUE non accettarono la fusione nella nuova organizzazione e continuarono la loro attività con la vecchia sigla.
[5] Opera che prese spunto dall’omonima ballata popolare tradizionale irlandese, Finnegan’s Wake, nota sin dal 1850.
[6] TA, John D. Rateliff, 22 dicembre 2015.
[7] Si consiglia la lettura del libro Geniuses Together. American writers in Paris in the 1920s di Humphrey Carpenter, il biografo di Tolkien, pubblicato in prima edizione dalla londinese Unwin Hyman nel 1987.
[8] Nel 1922 l’editore Basil Blackwell pubblicò la raccolta di poesie Fifty New Poems for Children includendo la poesia Goblin Feet (pp. 26-27) di Tolkien, già pubblicata in Oxford Poetry 1915. Assieme al testo di Tolkien trovarono posto due poesie di Edith Sitwell: The King of China’s Daughter (p. 19) e Trams (p. 32).
[9] Il testo della conferenza fu scritto dalla Stein tra il 1925 e il 1926 e pubblicato a novembre dello stesso anno dalla londinese Hogarth Press. In Italia il saggio è stato pubblicato con il titolo Composizione come spiegazione nella raccolta Conferenze americane di Gertrude Stein.
[10] Church fu presentato alla Stein da Sherwood Anderson con una lettera del maggio 1926 ma è a Oxford che i due s’incontrarono mentre il giovane era studente all’Oriel College, dove si laureò nel 1928, preparando la tesi sul filosofo francese Nicolas Malebranche, poi pubblicata nel 1931, con il titolo A study in the philosophy of Malebranche (Allen and Unwin).
[11] Il 6 Marzo 1931 Tolkien partecipò alla cena per il sessantesimo anniversario della Johnson Society e fu lui, assieme al segretario della stessa, E. V. E. White, a fare il brindisi a “The College”.
[12] Joyce trasse ispirazione dal nome di Livia Veneziani, moglie del suo caro amico Italo Svevo.
[13] A. Bennett, Comment, «London Evening Standard», 19 settembre 1929, p. 7.
[14] Fogli che utilizzò dal 1926, anno di arrivo all’Università di Oxford, fino alla sua scomparsa.

BIBLIOGRAFIA

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