sabato 28 gennaio 2017

Curiosità: L'Enciclopedia Treccani, E.V. Gordon e la citazione di un'opera di Tolkien (1933)

Giovanni Gentile con la prima edizione Treccani
Nel 1933, l’Istituto dell'Enciclopedia Italiana, il cui presidente, da poco nominato, era il fisico Premio Nobel, Guglielmo Marconi e i due vice presidenti, i fondatori, Giovanni Treccani, mecenate, e il filosofo Giovanni Gentile, pubblicò il diciannovesimo volume dell’Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti

Il volume, composto dalle voci da Indi a Ita, conteneva la prima versione della voce Inghilterra suddivisa in sette sottosezioni: Storia.Lingua. – Etnografia e folklore. – Arti figurative: Architettura; Pittura; Scultura; Incisione; Miniatura; Vetri dipinti; Oreficerie, avorî, ecc. Musica.Letteratura.Diritto.

Alla stesura di questa voce, furono chiamati a collaborare: il geografo Roberto Almagià, già membro dell'Accademia Nazionale dei Lincei (dal 1932) e poi della Società Geografica Italiana (di cui ricoprì la carica di presidente nel 1944-45); lo scrittore, saggista, critico letterario e docente Mario Praz; Mario Sarfatti, studioso di diritto inglese e comparato all'Università di Torino (fino al 1938); lo zoologo e geografo britannico Herbert John Fleure, segretario della Geographical Association e presidente della Cambrian Archaeological Association; Sir John Newenham Summerson, considerato tra i più importanti storici dell'architettura britannica del secolo scorso; Arthur Poham, storico dell’arte britannico che lavorò per moltissimi anni al British Museum di Londra con particolare riferimento all’arte italiana;  Edward Dent, scrittore inglese di opere influenti sulle opere di Mozart, Ferruccio Busoni, Alessandro Scarlatti e Handel; Alexander Hamilton Thompson, che ricoprì il ruolo di Professore di storia medievale all’Università di Leeds durante il periodo in cui Tolkien era Professore di lingua inglese nella stessa università e il professor Eric Valantine Gordon amico e collega di Tolkien con il quale, nel 1925, diede alle stampe il Sir Gawain and the Green Knight.

E. V. Gordon e J. R. R. Tolkien

Eric Valentine Gordon
Eric Valentine Gordon nacque nel 1896 e fu un filologo noto come curatore di testi di germanistica medievale e docente a Leeds e Manchester in lingue medievali germaniche. Si formò al Victoria College, British Columbia e alla McGill University, in Canada e nel 1915 si trasferì presso l’University College di Oxford essendo tra gli otto canadesi ad ottenere la prestigiosa borsa Rhodes Scholars. Nel 1916 si arruolò nell’artiglieria ma fu congedato per problemi di salute anche se continuò a lavorare per il Ministries of National Service and Food. Nel 1919 fece ritorno a Oxford ottenendo, l’anno seguente, una seconda classe Bachelor of Art avendo, in parte, la figura di Tolkien quale suo tutor. Nel 1922 ottenne la nomina al Dipartimento d’Inglese presso l’Università di Leeds abbandonando il B. Litt iniziato qualche hanno prima a Oxford. Lavorò a Leeds fino al 1931 introducendo nel suo curriculum la conoscenza del norreno e poi dell’islandese, pubblicando nel 1925, con Tolkien, il Sir Gawain and the Green Knight, e nel 1927 An Introduction to Old Norse. Assieme a Tolkien diede avvio anche al Viking Club, in cui si leggevano testi di saghe in antico islandese aperte a studenti e docenti e dove s’inventavano poesie in anglosassone, norreno o gotico. Una raccolta di questi lavori inediti, fu anche pubblicata – senza autorizzazione – nel volume Songs for the Philologists. Dopo il ritorno di Tolkien a Oxford, nel 1926, Gordon divenne professore di Lingua inglese e supervisionò l’acquisizione, per conto della Biblioteca dell’Università, della biblioteca di Bogi Thorarensen Melsteð, oggi riconosciuta come una delle più importanti collezione al mondo di testi islandesi. Per i suoi servigi alla cultura islandese fu nominato, nel 1930, Cavaliere del Royal Icelandic Order of the Falcon. Tra i suoi più importanti studenti a Leeds ci furono Albert Hugh Smith, J. A. Thompson e Ida Lilian Pickles che sposò nel 1930 e dalla quale ebbe quattro figli. Nel 1931, ottenne l’incarico di Smith Professor di Lingua e Filologia Germanica presso l’Università di Manchester dove concentrò i suoi studi sull’anglosassone e il Medio inglese. Morì improvvisamente per complicanze a seguito di un’operazione per rimuovere calcoli biliari. Dopo la sua morte, la vedova di Gordon, Ida, gli subentrò nell’insegnamento a Manchester e diede alle stampe alcuni lavori del marito, anche con l’aiuto di Tolkien, come The Seafarer The Battle of Maldon. E nel 1953, l’Oxford University Press diede alla stampe il Pearl di E. V. Gordon che vide un contribuito di J. R. R. Tolkien a una parte dell’introduzione, Form and Purpose (pp. xi-xix).

La voce scritta da Gordon

Il nome di Gordon è citato nell’elenco dei collaboratori a pagina xi del diciannovesimo volume del 1933 in cui si riportano le iniziali poi in calce alle voci e il titolo e ruolo del collaboratore:

E. V. G.   E. V. Gordon, prof. nell’Università di Manchester: Linguistic.

Dal 1931, infatti, Gordon ricopriva l’incarico di Smith Professor di Lingua e Filologia Germanica presso l’Università di Manchester che mantenne fino al 1938, anno della sua prematura scomparsa.
Gordon, per la voce Inghilterra, curò la sezione Lingua da pagina 262 a pagina 266 dove citò, nella Bibliografia tra i testi in Medio-inglese:
K. Sisam, Fourteenth Century Verse and Prose, con un glossario di J. R. R. Tolkien, Oxford 1923.

Il testo di Gordon presente nel diciannovesimo volume dell’Enciclopedia Italiana è presente sul portale on-line della Treccani (che ne detiene ogni diritto) e qui si riporta per intero.

Lingua
Tutte le lingue dell'Europa moderna sono d'origine mista; ma di tutte, l'inglese è la più eterogenea. Gli elementi d'origine non locale sono così ingenti, che si è perfino discusso se la lingua inglese attuale sia, in un qualche senso storico, veramente inglese, giacché, nei dizionarî, le parole d'origine latina sono più numerose di quelle d'ogni altra provenienza. A questa constatazione si può opporre che è d'origine prettamente inglese proprio quella parte della lingua che è più largamente usata, sia in letteratura, sia nel parlare quotidiano. Questa parte, cioè, deriva dalla lingua parlata dai popoli inglesi (Angli, Sassoni, Iuti) che si stanziarono nella Britannia nei secoli V e VI. Quando si tenga conto della frequenza dell'uso l'elemento locale ha, senza confronto, la maggiore importanza. Inoltre, la struttura grammaticale è quasi interamente formata su basi locali, e le forme d'espressione più naturali, specialmente nell'uso parlato, appartengono essenzialmente a questa tradizione. Tuttavia, gl'influssi stranieri hanno prodotto nello spirito e nella forma della lingua profondi mutamenti, in parte a vantaggio e in parte a svantaggio. Le fonti straniere hanno ampliato il vocabolario, al punto che l'inglese è giunto a possedere un numero di parole maggiore di quello d'ogni altra lingua e che si ritiene un po' superiore a 300.000. Ma sebbene le sue risorse siano state in tal modo arricchite, la lingua è stata anche ingombrata da parole che sono vive solo a metà, e che si sono male naturalizzate anche per l'uso letterario. Gli elementi presi a prestito da fonti straniere hanno reso l'inglese più vario e flessibile e hanno accresciuto le risorse dello scrittore artista; ma si è avuto anche il risultato non desiderabile d'impoverire la tradizione locale. Per conseguenza, le classi meno colte che si sono attenute a quella tradizione, posseggono risorse linguistiche inferiori a quelle che le medesime classi hanno in altri paesi d'Europa. Più accentuata che in altre nazioni europee è quindi la differenza tra linguaggio delle persone colte e delle incolte, tra lingua parlata e lingua letteraria. Seguiremo ora il processo storico che ha condotto a questi risultati.

Periodo anglosassone (450-1100). - La lingua che gli Angli portarono nella Britannia era uno dei dialetti nord-occidentali del ramo germanico dell'ovest. Suo più prossimo parente tra i più antichi linguaggi germanici è l'antico frisone e, subito dopo, l'antico sassone. All'epoca dell'emigrazione in Britannia, le tribù angliche e quelle frisoni, come anche il gruppo sassone che rimase sul continente, dovevano parlare sostanzialmente il medesimo dialetto (anglo-frisone). È certo che le tribù passate in Britannia usavano un linguaggio quasi completamente uniforme; ma dopo lo stanziamento in Inghilterra si svilupparono differenze dialettali i cui confini coincisero, all'ingrosso, con quelli dei diversi regni. Nei piu antichi documenti scritti, che risalgono ai secoli VII, VIII e IX, si possono discernere quattro dialetti principali che probabilmente erano già distinti fin dal sec. VI. Nella zona degli Angli si trovano i due dialetti della Northumbria e della Mercia; nel sud-est, il dialetto del regno iuto del Kent, e, con esso strettamente imparentato, il sassone orientale; e nel sud-ovest, il dialetto sassone occidentale del Wessex. Durante la diversificazione, le differenze principali sorsero nella struttura fonetica della lingua, perché la diversificazione non agì in maniera identica in tutte le parti del paese. Tra i mutamenti che alterarono profondamente il linguaggio anteriormente all'epoca dei primi documenti scritti, furono: lo "sdoppiamento" delle vocali dinanzi a certe consonanti, fenomeno più accentuato nel sassone occidentale e nel Kent che non in altri dialetti (p. es., alla parola che in sassone occidentale e in dialetto del Kent era ceald cold, nella Northumbria e nella Mercia corrisponde cald, che è la forma da cui deriva il moderno cold); la metafonia (Umlaut) prodotta da che normalmente scomparvero dopo aver modificato la vocale precedente. Così la metafonia di in un primitivo *nēadi produsse il sassone occidentale nīed, mentre negli altri dialetti si ebbe nēd, che è la forma da cui deriva il moderno need. Il mutamento di vocale nella parola moderna mouse, col plurale mice, e in pochi altri nomi, è ugualmente dovuto alla metafonia avvenuta nel sec. VI. I mutamenti fonetici più importanti del periodo anglosassone erano, intorno al 600, già compiuti, e i dialetti che allora si formarono sono tuttora la base delle differenze dialettali che si riscontrano nell'inglese parlato d'oggi.

Nella più antica poesia anglosassone conservataci (composta nei secoli VII e VIII), sono evidenti un vocabolario e una sintassi poetici speciali. Dalla ricchezza ed elaboratezza di questo linguaggio poetico, come anche dalla sua parentela col linguaggio poetico dell'antico sassone e dell'antico norvegese, si può vedere che la poesia anglosassone è frutto d'una tradizione molte volte secolare. È altrettanto evidente, però, che la comune base germanica si sviluppò e maturò in Inghilterra assai rapidamente. Un'opera delle proporzioni e della coscienza artistica del Beowulf non fu né avrebbe potuto esser prodotta al suo tempo (circa 750) da nessun'altra nazione di stirpe germanica. Questo linguaggio poetico degli Anglosassoni è notevole per sonorità, per densità di significati e ricchezza di sinonimi. In un eguale numero di versi, si trova nel Beowulf un vocabolario più ampio che nel Paradiso perduto.

Di questa primitiva poesia ben poco ci è giunto; ma la maggior parte di quel che ce ne rimane sembra fosse composto nel territorio degli Angli: pare che in Northumbria sia esistita una scuola poetica particolarmente brillante. La cultura northumbrica fu annientata nel nono secolo dall'invasione dei Vichinghi, e dopo la spartizione dell'Inghilterra tra il re Alfredo dei Sassoni occidentali e gl'invasori vichinghi, il centro letterario si spostò al Wessex. Gl'impulsi che ravvivarono e svilupparono la cultura, vennero dal Wessex o agirono attraverso di esso, e il sassone occidentale divenne a poco a poco la lingua letteraria e ufficiale dell'Inghilterra. Anche la poesia più antica, sebbene composta soprattutto in dialetti angli, ci è giunta solo in copie dei Sassoni occidentali. Gli altri dialetti sono assai scarsamente rappresentati dai documenti, molti dei quali non hanno interesse letterario, consistendo in gran parte di lettere patenti o di glosse a versioni latine dei Salmi o dei Vangeli.

Tra l'epoca dei primi documenti scritti e la fine del periodo anglosassone si verificarono nella lingua grandi mutamenti; maggiori di quanto la tradizione conservatrice dell'ortografia tra i Sassoni occidentali non lasci senz'altro apparire. Già alla fine del sec. X le inflessioni grammaticali erano attenuate e confuse, e durante il secolo stesso, in Northumbria, i generi grammaticali mostravano già la tendenza a cadere. Diffusissimi erano i mutamenti nella quantità delle vocali: per es., le brevi venivano allungate dinanzi a ndld e altri gruppi di consonanti, se non erano seguite da una terza consonante. Così la differenza vocalica tra le parole moderne child children data da quel tempo. La semplificazione dei dittonghi era ben avanzata e forse in alcuni dialetti già compiuta (cfr. l'anglosassone deop e il mod. deep). Tuttavia questi mutamenti non erano di solito indicati da nessuna modificazione ortografica.

In quel periodo, gl'influssi stranieri ebbero sulla lingua scarso effetto. All'infuori dei nomi di luoghi, di monti e di fiumi, i conquistatori inglesi adottarono poche parole dei Britanni. Molto più che da questi, gl'Inglesi subirono (in seguito alle missioni mandate da Iona in Northumbria nel sec. VII) influssi dagl'Irlandesi, dai quali derivarono anche lo stile della scrittura usata nei testi in volgare (il latino veniva più spesso copiato in scrittura continentale) e alcune poche aggiunte al vocabolario ecclesiastico e letterario: per es., cursian (moderno curse). La conversione al cristianesimo e l'organizzazione della Chiesa introdussero naturalmente numerosi elementi latini, soprattutto ecclesiastici e letterarî: vocaboli come munuc (moderno monk), crēda (mod. creed), cleric (mod. clerk). Tuttavia, anche prima dell'arrivo dei missionarî, s'era infiltrato nell'inglese un certo numero di parole latine riconoscibili attraverso le modificazioni di suono, proprie dell'inglese antico, da esse subite. Tali sono, per es., cealc (con "sdoppiamento", dal latino calcem, ingl. mod. chalk); ynce (con metafonia della i; latino uncia, ingl. mod. inch). Dagli stanziamenti vichinghi nel nord e nell'est dell'Inghilterra, avvenuti soprattutto nel periodo 867-950, e dall'influsso danese alla corte di Canuto e dei suoi figli nel sec. XI, derivò l'apparizione nell'anglosassone di circa un centinaio di parole scandinave. Gli effetti linguistici di tali stanziamenti furono però più appariscenti dopo il 1200. Le parole scandinave introdotte durante il periodo anglosassone sono quasi tutte connesse con la guerra, col grado sociale e col governo. Per es., lagu (mod. law), husting (mod. husting); la parola indigena eorl significava "guerriero", ma per influsso del vocabolo scandinavo . jarl fu condotta a denotare un grado di nobiltà (ingl. mod. earl). Nel secolo XI apparve anche l'influsso francese, specie durante il regno d'Edoardo il Confessore, che chiamò in Inghilterra molti Normanni. Prūd (ingl. mod. proud) e prçdo (mod. pride) furono tra le prime parole francesi introdotte in Inghilterra.

Tuttavia, al confronto dei successivi periodi di lingua inglese, l'anglosassone aveva un vocabolario fondamentalmente omogeneo. In generale, esso fu anche periodo di compiuta flessione e possedette un più o meno rigido sistema di generi grammaticali. Inoltre, com'è naturale in un periodo flessivo, il ritmo caratteristico della lingua ru grave, misurato e sonoro.

Periodo medievale (11oo-1474). - Per questo periodo si parla comunemente di medio-inglese. Molti storici considerano vero inizio del periodo medio-inglese la conquista normanna del 1066, nella quale essi vedono l'origine del forte influsso francese, il quale costituì uno dei fattori più importanti negli sviluppi caratteristici del periodo stesso. Tuttavia, la conquista normanna non ebbe sulla lingua effetto immediato e i mutamenti prodotti dall'influsso francese non furono così grandi o improvvisi come la forma scritta della lingua farebbe credere. I centri culturali si trovarono ben presto in mani francesi e intorno al 1225 l'ortografia dei documenti fu non meno francese che inglese. Questa modificazione dell'ortografia tradizionale offrì anche opportunità per una rappresentazione fonetica della pronunzia effettiva, più fedele di quella prevalsa nel tardo periodo anglosassone. Un notevole tentativo di adattare alla rappresentazione fonetica l'ortografia inglese tradizionale fu compiuto dal canonico agostiniano Orm: nell'Ormulum (circa 1220) egli raddoppiò sistematicamente le consonanti dopo le vocali brevi (salvo per le vocali in sillaba aperta) e distinse quattro specie di suoni della g. La sua grafia, insolitamente sistematica, è una delle più sicure fonti d'informazione sulla lingua di quel tempo. Effetto sulla struttura organica dell'inglese ebbe, anteriormente al francese, l'influsso degli stanziamenti scandinavi. Per quasi un secolo e mezzo dall'inizio di tali stanziamenti non è visibile nessuna importante mescolanza di scandinavo e d'inglese: l'Ormulum è il primo testo inglese che contiene molte parole scandinave. Tuttavia è probabile che la trasfusione di vocabolario fosse compiuta soprattutto a partire dal 1050. La stretta parentela tra l'antico scandinavo e l'inglese rendeva un'intima mescolanza tra di esse più facile che non tra l'inglese e il francese: ciò spiega come furono prese a prestito non solo parole connesse con occupazioni e con la cultura caratteristica, ma anche parole di valore piuttosto grammaticale che intellettuale, come pogh (inglese moderno though), pay (ingl. mod. they) e la desinenza del participio presente in -ande (ora disusata). Le parole scandinave erano entrate nell'uso specie nel nord e nell'est. La maggior parte di quelle attualmente correnti nell'inglese normale (standard English) vennero dalla regione orientale dei Midlands; altre, sconosciute al linguaggio tipico, vivono tuttora in dialetti settentrionali, come addle per earnettle per intend.

Uno dei primi effetti della conquista normanna fu che l'antico vocabolario poetico andò perduto, poiché la nobiltà anglosassone, che ne era la principale depositaria, fu quasi completamente distrutta dai conquistatori. Le tradizioni letterarie locali sopravvissero molto intensamente nell'ovest: è nel Brut di Layamon, composto nel Worcestershire (circa 1200) che si trova meglio conservato l'antico vocabolario poetico. L'ovest fu anche la regione in cui ebbe luogo il "rinnovamento" allitterativo del sec. XIV, quando il vocabolario poetico anglosassone era, in parte, ancora usato: in Sir Gawain and the Green Knight (Lancashire meridionale, circa 1375), p. es., si trovano le parole burnfrekerenksegge come sinonimi per i nobili cavalieri delle corti. Queste parole, mai usate in prosa, risalgono a una tradizione poetica ininterrotta di circa dieci secoli. Salvo che nei poemi allitterativi, l'eloquio specificamente poetico del medio-inglese non fu molto esteso: in poemi come The Owl and the Nightingale (circa 1210) e The Lay of Havelock (circa 1275) la lingua è quasi identica al parlare quotidiano.

Il bisogno di parole francesi fu più fortemente sentito quando il francese parlato in Inghilterra cominciò a decadere e venne sostituito dall'inglese; per molte occupazioni e situazioni che erano state in mani francesi dal tempo della conquista, la lingua inglese aveva risorse insufficienti e, di solito, i vocaboli francesi connessi con quei fatti vennero liberamente adottati.

Il numero delle parole francesi adottate prima del 1250 non era forte: l'Ormulum in tutti i suoi 20.000 versi non contiene più d'una dozzina di tali parole; l'Ancrene Wisse (circa 1230) in quasi 220 pagine reca a un dipresso 225 parole francesi, meno di un sesto del numero totale dei vocaboli. Queste parole sono soprattutto culturali e tecniche, relative a occupazioni che erano state tenute dai conquistatori francesi o nelle quali i Francesi erano riusciti preminenti, come il governo, la legislazione, la guerra, l'armatura, la caccia, la cucina. Di questi vocaboli, la maggior parte furono adottati nella forma che era corrente nel parlare anglofrancese; relativamente pochi vennero presi nella forma continentale.

È poco probabile che il francese abbia contribuito alla rapida decadenza che in questo periodo si manifesta apertamente nelle inflessioni inglesi. Il rapido mutamento fonetico indebolì molte desinenze in -e, le quali, dopo aver in tal modo perduto una loro distinta esistenza, caddero. Il tradizionale sistema d'inflessioni derivato dall'anglosassone è ancora bene rappresentato in The Owl and the Nightingale, dove si mantengono intatti anche i generi grammaticali; ma nel sec. XIV la desinenza -es del nominativo e dell'accusativo plurali maschili si trova estesa a tutti gli altri casi plurali della maggior parte dei nomi. Il genere grammaticale era stato sostituito dal genere naturale fin dal sec. XIII e le desinenze dei nomi originariamente maschili erano state estese alla maggior parte dei nomi d'altri generi. Nel sec. XV la perdita della -finale non accentata ridusse ancor più la declinazione dei nomi alla sua forma attuale. Nei pronomi, le forme del dativo soppiantarono di solito quelle dell'accusativo: il dativo him, per es., aveva sostituito l'accusativo hine fin dal principio del sec. XIV. Ma l'accusativo sopravvive nei dialetti moderni del SO. con la forma un [-an]. Le inflessioni dei verbi furono invece assai meglio conservate, specie nel sud.

Altri mutamenti fonetici modificarono notevolmente la forma della lingua e accentuarono le differenze tra i dialetti. Fin dal principio del sec. XII gli antichi dittonghi anglosassoni furono ridotti a suoni semplici, eccetto che nel sud-est. Circa nel 1200 la frequente vocale ā fu arrotondata in ï??? [= ???:], salvo che nel nord: eosì l'anglosassone rād divenne allora rōd (moderno road); nel nord lo sviluppo fu invece raid che, nel sec. XIX, fu anche introdotto dallo scozzese nell'inglese normale. Nel sec. XIII le vocali brevi in sillabe aperte furono allungate, come in mete, in cui la vocale lunga ha dato il moderno meat che data da quell'epoca. Soprattutto nel sec. XIII si svilupparono nuovi dittonghi, principalmente dalla vocalizzazione della media (fricativa) che perdette a poco a poco il carattere fricativo e quando fu palatalizzata dal precedere immediato d'una vocale, diede [= j]; ma quando fu seguita da una vocale con interposizione d'altra consonante, diede w. Così fœgen "contento" ha sviluppo regolare nel medio inglese e nel moderno fain; ma il connesso verbo fagnian dà fawn.

Per questi mutamenti e per altri di carattere più locale, le antiche differenze dialettali, sorte già nei tempi anglosassoni, furono accentuate e moltiplicate. È chiaro che le divisioni dialettali anglosassoni rimangono la base dei gruppi dialettali del medio-inglese. Dall'antico northumbrico derivarono i dialetti della Scozia e dell'Inghilterra settentrionale; in questi ultimi, le forme orientali e occidentali differiscono tra loro notevolmente. Il dialetto sassone orientale e quello del Kent sono rappresentati da un distinto gruppo sudorientale, come il sassone occidentale è rappresentato da un gruppo sud-occidentale. Una netta divergenza tra i dialetti dei Midlands orientali e occidentali cominciò probabilmente nel periodo anglosassone e fu in gran parte conseguenza della spartizione della Mercia tra Alfredo e i Danesi. Durante il periodo del medio-inglese, nessuno di questi dialetti ebbe un quasiasi titolo per essere considerato forma tipica dell'inglese, salvo che nella regione in cui era parlato; e similmente nessuno d'essi ebbe speciale preminenza letteraria, se si eccettua la regione occidentale che fu la più feconda di poesia lirica e principale centro della tradizione allitterativa. Alla fine del sec. XIV e durante il XV il dialetto di Londra cominciò ad assumere nuova e speciale dignità come lingua della corte reale e di tutta la società elegante e colta che aveva contatti con la corte o con Londra. Chaucer, Gower e Lydgate, i tre più famosi poeti del loro tempo, scrissero nell'inglese di Londra e spesso anche i dotti delle università di Oxford e Cambridge, qualunque fosse la loro origine, impararono a scrivere nel medesimo tipo di inglese. Così Wycliffe, dottore a Oxford e nativo del Yorkshire, scrisse un inglese di tipo essenzialmente londinese e niente affatto settentrionale. L'inglese di Londra era così in sé stesso d'origine mista e rappresentava in parte le parlate delle regioni circostanti; ma nel sec. XIV questa base meridionale fu gravemente sovraccaricata da un elemento dei Midlands orientali. Questo elemento si rafforzò fino a divenire la base reale del dialetto, di cui le forme meridionali furono variazioni meno usate. È da questa parlata londinese, in cui prevalse l'elemento dei Midlands orientali, che è derivato l'inglese tipico moderno. Attraverso la tradizione dei Midlands orientali l'elemento inglese autoctono della lingua moderna risale in tal modo fino all'antica forma dell'anglosassone in uso nella Mercia e non al sassone occidentale che pur era la forma tipica dell'anglosassone. Il fatto è tuttora evidente nella forma moderna di molte parole, quali deedcoldhearwell che foneticamente non potrebbero derivare da forme del sassone occidentale.

Inglese moderno (dal 1474 a oggi). - Conviene assumere, come significativa del passaggio dalla cultura medievale a quella moderna, la data del 1474, quando Caxton impiantò la prima stamperia in Inghilterra. Inoltre la stampa favorì indubbiamente lo svolgersi di processi che produssero caratteristici sviluppi moderni, quali il sorgere e il diffondersi d'una forma tipica dell'inglese e d'una lingua letteraria notevolmente diversa da quella parlata. Fu anche in quell'epoca che apparvero altri mutamenti i quali sono di solito considerati come segni del principio dell'inglese moderno.

Il meglio definito di questi mutamenti fu quello fonetico assai importante, noto come "il grande spostamento delle vocali". Per esso ogni vocale lunga fu elevata approssimativamente alla posizione della vocale immediatamente più alta, mentre le vocali lunghe già alte, [i:] e [u:], divennero dittonghi, rispettivamente [e1] e [ou]. Fu questa la prima divergenza delle vocali inglesi dalla pronunzia "continentale": il sistema vocalico di Chaucer, p. es., era stato, all'ingrosso, il medesimo che nell'italiano moderno. La direzione del mutamento che avvenne, è dimostrata dalle seguenti serie: vocali della serie anteriore: [α:] and [ε:] and [e:] and [i:] and [e1]; vocali della serie posteriore: [???:] and [o:] and [u:] and [ou]. Tra le vocali anteriori, [α:] fu elevata a [ε:] e l'originale [ε:] (scritto eea) fu elevata nel medesimo tempo a [e:], e così per tutta la serie. Lo spostamento delle vocali cominciò nella prima metà del sec. XV e fu compiuto solo quasi alla fine del secolo stesso. Nel sec. XVII un secondo e minore mutamento nelle vocali lunghe, portò la maggior parte d'esse alla pronunzia odierna. Le vocali brevi subirono, nel periodo moderno, mutamenti minori: [a] fu elevato ad [ae] alla fine del sec. XVI, [u] fu abbassato e non arrotondato a [Λ] nel sec. XVII. È anche da notare l'influsso perturbatore della sulla vocale che lo precede: tale vocale precedente prese la tendenza a divenire più bassa e più rilassata; si sviluppò di solito innanzi alla una vocale di passaggio e alla fine del sec. XVII la stessa cadde quando si trovò come finale o innanzi ad altra consonante. Così il medioinglese there (ðer) è attualmente [ðe: ə], mentre l'e: del medio-inglese normalmente dà le forme moderne [i:] oppure [ij].

In tutta la storia della fonetica inglese, le vocali si sono mostrate più instabili delle consonanti. Molti Inglesi moderni sentono che le consonanti d'una parola costituiscono un'intelaiatura fissa, mentre qualche variazione nei suoni delle vocali è inevitabile in regioni e ambienti sociali diversi. Le consonanti si sono quindi conservate assai meglio. I soli mutamenti che si possano menzionare qui, sono la labializzazione della velare finale gh (= χ) divenuta, nel sec. XVI, f, come in rough (pron. rΛf), mentre gh palatale (ç) cadde nel sec. XV, come in lighthigh (pron. attuale: lalthal).

Questi mutamenti sono nella tradizione dell'inglese normale (standard English) che dapprima fu l'inglese di Londra, ma come lingua della società londinese migliore. Questa connessione sociale si accentuò sempre più, finché l'inglese normale divenne lingua esclusivamente di certe classi sociali, quelle educate, colte, eleganti, indipendentemente da qualsiasi località. Gl'inizî di questo mutamento si possono vedere negli scritti di George Puttenham (The Arte of English Poesie, 1589) il quale consiglia che, come normale, "prenderete il linguaggio consueto della corte e quello di Londra e delle contee che la circondano entro il raggio di 60 miglia"; ma aggiunge: "non dico questo, ma che in ogni contea vi siano gentiluomini e altri che parlano il meridionale bene come noi del Middlesex o del Surrey, ma non il popolo comune d'ogni contea". Attualmente il vernacolo londinese o cockney è lontano dall'inglese tipico quanto ogni altro dialetto. Tra i dialetti che rappresentano le più strette tradizioni locali e lo standard English, esistono molte varietà e molti compromessi. L'inglese settentrionale, anche presso le persone colte, conserva la vocale in parole come catman; vocale che nell'inglese tipico è stata elevata ad [œ] fin dal sec. XVI. La conserva una vibrazione forte in Scozia e attenuata nell'Inghilterra occidentale, in Irlanda e negli stati settentrionali dell'America, anche in posizioni nelle quali essa cadde del tutto nell'inglese normale alla fine del sec. XVII. Alcuni dialetti locali vanno rapidamente scomparendo, ma l'inglese provinciale s'avvicina allo standard English con straordinaria lentezza.

Di solito, i vari mutamenti fonetici non sono stati accompagnati da corrispondenti mutamenti ortografici: per es., la parola del medio-inglese name è scritta tuttora nella medesima forma, sebbene la -finale non venga più pronunziata circa dal 1400 e la vocale radicale sia mutata da [α:] in [ε:], poi in [e:] e infine in [e1]. La base dell'ortografia inglese è ancora medievale, sebbene non vi sia più la libertà medievale nell'uso di varianti ortografiche. Tuttavia, agl'inizi dell'inglese moderno tale libertà vigeva ancora; era anzi accresciuta dalla mescolanza e dalla confusione di tradizioni medievali originariamente distinte. Nel sec. XVI l'ortografia venne inoltre confusa dai tentativi dei dotti d'introdurre nelle parole francesi e anche inglesi delle lettere che dovevano indicarne la connessione col latino. In tal modo fu inserita una b nella parola doubt, una nella parola island per indicare la derivazione latina rispettivamente da dubitum insula. E tuttavia all'inizio l'inglese moderno aveva principî ortografici propri: le vocali [e:] e [i:] erano distinte come ea ed ee, distinzione sopravvissuta, ma nella grafia solamente, giacché nel sec. XVII le due vocali confluirono come [i:], e steal steel sono oggi omofoni. Durante il sec. XVII l'ortografia divenne meno mutevole e al principio del sec. XVIII fu praticamente fissata. Da allora è stata mutata pochissimo.

Sembra essere stata generale l'impressione che il fissarsi dell'ortografia fornisse una norma durevole, capace di guidare nella pronunzia. Samuel Johnson fu il primo a dare espressione definita a quest'idea, quando scrisse nella prefazione al suo dizionario (1775): "Per la pronunzia, la miglior regola generale è di considerare più elegante l'eloquio di coloro che meno deviano dalle parole scritte". Da allora in poi, la parola scritta ha esercitato sulla pronunzia un influsso sempre maggiore. Numerose pronunzie tradizionali sono state eliminate nello standard English e retrocesse al livello di volgarismi: p. es. sovdze (soldier nella forma scritta) è sostituito dalla pronunzia ortografica (soułdjə). Lettere che in epoche trascorse non s'erano pronunziate mai, sono state oggi messe in vita, dopo secoli d'esistenza puramente teorica, come in fault in humour (divenuta d'uso generale solo nella passata generazione). Almeno uno dei mutamenti fonetici si è perduto, e cioè il mutamento della finale [η] in [n]: per l'influsso dell'ortografia, una pronunzia come s1η1n] per singing è antiquata nell'inglese normale e costituisce un'affettazione. Il ripristino di suoni per influsso delle forme scritte non è stato interamente nocivo; ma è difficile ammettere che una così larga interferenza con la tradizione della lingua parlata riesca in generale utile.

I mutamenti grammaticali nel periodo moderno non sono stati numerosi. Tra i più importanti, vi è l'adozione di -(e)come desinenza della terza persona singolare nel presente indicativo dei verbi, in sostituzione dell'antica forma -(e)th. Nel sec. XVI erano usate entrambe le desinenze: la forma -(e)cominciò a prevalere durante il sec. XVII. Dal sec. XVIII la forma -(e)th appartiene unicamente al linguaggio poetico ed ecclesiastico. Agl'inizi dell'inglese moderno era frequente la confusione tra il nominativo e l'accusativo dei pronomi personali. Shakespeare scrive: between you and Ishall's to the Capitol?, forme ora considerate come solecismi. L'inglese odierno esita ancora tra it is I it is me, la seconda forma è più frequente nell'uso parlato. Il tardo medio-inglese e gl'inizi dell'inglese moderno videro anche larghe riforme dei verbi irregolari e numerosi passaggi di verbi dalla coniugazione irregolare a quella regolare. Le forme del soggiuntivo stanno ora diventando antiquate. Nell'inglese moderno il congiuntivo e molti altri modi, tempi e aspetti verbali sono espressi mediante ausiliari. Il sistema verbale moderno, sebbene morfologicamente semplificato, è tuttavia più complesso dell'antico sistema anglosassone ed esprime con maggiore precisione distinzioni più numerose.

I mutamenti maggiori del periodo moderno sono nel vocabolario. Il numero delle parole usate è stato, secondo una stima approssimativa, triplicato. Le fonti che hanno fornito la maggior parte del materiale nuovo sono il latino e il greco, e fu il Rinascimento che fece affluire le nuove parole dalle lingue classiche. Era ammissibile, specie nel sec. XVI, di usare in inglese qualunque parola latina, semplicemente lasciandone cadere la desinenza o sostituendola con una -e. Agl'inizi del periodo moderno molti scrittori, credendo a una superiorità del latino in fatto di retorica. si illusero d'infondere virtù classiche nel loro stile usando il maggior numero di parole classiche compatibile coi limiti della struttura grammaticale e con l'intelligibilità. L'amore di questo vocabolario latinizzato si vede nell'idealità "aurea" del sec. XV e raggiunge il massimo nel secolo successivo. Numerosi scrittori e critici dell'epoca (per es., Th. Wilson, 1553; G. Puttenham, 1589; Shakespeare in Love's Labours Lost) protestarono contro questa assunzione in blocco di parole strane e pedantesche, spesso chiamate spregiativamente "termini da calamaio"; altri, come A. Gill (1623), il maestro di Milton, andarono anche oltre e dichiararono che lo studio delle lingue classiche stava rovinando l'inglese. Tuttavia, l'amore delle "parole da calamaio" e dello stile fortemente latinizzato non è mai mancato del tutto da quando lo stile "aureo" trovò inizialmente favore. E bisogna riconoscere che il vocabolario classico, nonostante il malo uso, soddisfece in inglese a un profondo e autentico bisogno. Le risorse intellettuali della lingua alla fine del periodo del medio-inglese erano relativamente povere e il rapido sviluppo intellettuale dei secoli successivi sarebbe stato impossibile senza un arricchimento della lingua per i concetti nuovi. Simili arricchimenti non si possono inventare dal nulla, ma possono solo esser presi da qualche fonte viva. L'elemento classico non manca di valore, neppure quando sembra fornire doppioni di parole locali, poiché i nuovi vocaboli quasi sempre esprimono una diversa sfumatura di significato, hanno minori associazioni emotive, ma più dignità e volume di suono. Gli elementi classici arricchirono e variarono le risorse dello scrittore artista, e non sono mancati maestri dello stile inglese, Shakespeare, Milton, Th. Browne, che sapessero far pieno uso del vocabolario classico come di quello originario inglese. Ma bisogna anche ammettere che sono numerosi gli scrittori il cui stile è stato viziato da una latinizzazione superflua e senza misura.

Le fonti di vari progressi culturali del periodo moderno sono di solito rese evidenti dalle parole prese a prestito che con essi si riconnettono. 
Così landscapeeaselsketch (quest'ultima dall'italiano schizzo) prese a prestito dall'olandese, attestano l'influsso esercitato dall'Olanda nella pittura durante i secoli XVI e XVII. Dall'italiano fu preso un gran numero di termini musicali dal sec. XVII e anche termini d'architettura nei secoli XVI e XVII. Il progresso scientifico degli ultimi due secoli ha aggiunto moltissime parole, in parte ereditate dal latino degli scienziati medievali. La scienza moderna ha ereditato inoltre il metodo medievale di coniare nuove parole da elementi latini e greci per nuove scoperte.

La lingua inglese fuori dell'Inghilterra. - L'inglese è stato poi trapiantato in molti paesi dove sono apparsi sviluppi più o meno indipendenti. Negli Stati Uniti d'America, la divergenza dalle tradizioni dell'Inghilterra è chiaramente percettibile. Come di consueto quando un gruppo linguistico è geograficamente diviso, ogni divisione ha conservato combinazioni diverse di modi arcaici che altre divisioni hanno invece perduto e ognuna ha iniziato sviluppi nuovi. La base originaria dell'inglese di America fu il linguaggio popolare dei Midlands orientali inglesi nel secolo XVII: due sopravvivenze notevoli di tale linguaggio sono le vocali nasalizzate e la conservazione della indebolita dinnanzi a consonante o quando sia finale di parola; cose che si verificano in Irlanda e nell'Inghilterra occidentale, ma che sono perdute nell'inglese normale (v. stati uniti: Lingue). L'inglese australiano, almeno nella sua forma popolare, presenta affinità col cockney d'Inghilterra. Nel Canada vi è mescolanza di tradizioni americane con tardi elementi dell'Inghilterra e della Scozia; ma l'elemento americano è in prevalenza. Si calcola che, fra tutti i diversi paesi in cui è in uso, l'inglese sia parlato da 165 milioni d'individui. È stato spesso proposto di usar l'inglese come lingua internazionale (v. internazionali, lingue). Un noto riformatore ne ha rifatto l'ortografia, ribattezzandolo Anglic, per renderlo adatto a questo scopo. Ciò indica a sufficienza che cosa dovrebbe soffrire la lingua, se mai dovesse venir adottata come universale.

Bibl.: Opere generali: A. G. Kennedy, A Bibliography of Writings on the English Language (alla fine del 1922), Cambridge (U. S. A.)-New Haven 1927. Brevi storie generali della lingua inglese sono: H. Bradley, The Making of English, Londra 1911; O. Jespersen, Growth and Structure of the English Language, 5ª ed., Lipsia e Oxford 1926; H. C. Wyld, A Short History of English, 3ª ed., Londra 1927. Eccellente, ma tuttora incompleta, K. Luick, Historische Grammatik der englischen Sprache, Lipsia 1914-29 (solo Il vol. I). Per la sintassi storica: L. Kellner, Historical Outlines of English Syntax, Londra 1924; E. Einenkel, Historische Syntax der englischen Sprache, Berlino e Lipsia 1916.

Anglosassone: Grammatische: K. D. Bülbring, Altenglisches Elementarbuch (sola 1ª parte), Heidelberg 1902 (per la sola fonetica). Le più ampie grammatiche descrittive sono: E. Sievers, Angelsächsische Grammatik, 3ª ed., Halle 1908; R. Girvan, Angelsaksisch Handboek, Haarlem 1832; comparativa: J. e E. M. Wright, An Old English Grammar, 3ª ed., Oxford 1925. Dizionari: J. R. Clark Hall, A Concise Anglo-Saxon Dictionary, 3ª ed., Cambridge 1932; Grein, Sprachschatz der angelsächsischen Dichter, riveduto da J. J. Köhler, Heidelberg 1912 (per la sola poesia); F. Holthausen, Altenglisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg 1932 segg. (diz. etim.). Il più completo è Bosworth e Toller, An Anglo-Saxon Dictionary, Oxford 1898, con ampio supplemento di Toller, 1921. Per saggi della letteratura e dei dialetti: H. Sweet, An Anglo-Saxon Reader, 10ª ed., riveduta da C. T. Onions, Oxford 1933.

Medio-inglese: Grammatiche: R. Jordan, Handbuch der mittelenglischen Grammatik, I, Heidelberg 1925 (per la sola fonetica); J. e E. M. Wright, An Elementary Middle English Grammar, 2ª ed., Oxford 1928 (fonetica e grammatica). Dizionarî: F. H. Stratmann, A Middle English Dictionary, riveduto da H. Bradley, Oxford 1891; il New English Dictionary, citato appresso. Saggi della letteratura e dei dialetti: J. Hall, Early Middle English 1130-1250, voll. 2, Oxford 1920; K. Sisam, Fourteenth Century Verse and Prose, con un glossario di J. R. R. Tolkien, Oxford 1923; E. Björkmann, Scandinavian Loan-words in Middle English, parti 2, Halle 1900-02 (eccellente).

Inglese moderno: Grammatiche: H. Sweet, A New English Grammar, voll. 2, Oxford 1900-03 (grammatica descrittiva); J. e E. M. Wright, An Elementary Historical New English Grammar, Oxford 1924 (grammatica storica, specialmente per la fonetica e la grammatica elementare); O. Jespersen, A Modern English Grammar on Historical Principle, voll. 4 (tuttora incompleta), Heidelberg 1909 segg. (per la fonetica e la sintassi); H. C. Wyld, A History of Modern Colloquial English, 2ª ed., Londra 1921 (storia linguistica generale). Per la fonetica: H. Sweet, The Sound of English, Oxford 1908; I. C. Ward, The Phonetics of English, Cambridge 1929. Per la lingua di Shakespeare: W. Franz, Shakespeare-Grammatik, 3ª ed., Heidelberg 1924; A. Schmidt, Shakespeare-Lexikon, 3ª ed. riveduta da G. Sarrazin, Berlino 1902; C. T. Onions, A Shakespeare Glossary, 2ª ed., Oxford 1919.

Dialetti: J. Wright, The English Dialect Dictionary and the English Dialect Grammar, voll. 6, Oxford 1896-1905.

Inglese d'America: G. Krapp, A History of the English Language in America, Boston 1931; cfr. inoltre la bibliografia sotto stati uniti: Lingue.

Sull'uso odierno dell'inglese: H. W. e F. G. Fowler, The King's English, 2ª ediz., Oxford 1908; H. W. Fowler, A Dictionary of Modern English Usage, Oxford 1926. Dizionarî: A New English Dictionary on Historical Principles, edito da Murray, Bradley, Craigie e Onions, voll. 10, Oxford 1886-1928; compendio del precedente, voll. 3, riveduto da C. T. Onions, 1933 (comprendente parole apparse nella lingua dal 1100 con esempî di anglosassone); H. W. e F. G. Fowler, The Concise Oxford Dictionary of Current English, 2ª ed., Oxford 1929 (solo per l'inglese odierno); per i dialetti, v. sopra. Per lo slang: J. S. Farmer e W. E. Henley, Slang and its Analoguespast and present, voll. 7, Londra 1890-1904; un compendio ne fu edito nel 1905; un'edizione riveduta si cominciò a pubblicare nel 1903-09.

E. V. G.

La nascita dell’Enciclopedia Treccani (1925)
e la sua prima edizione (1929-1937)

Giovanni Treccani
Nel 1924, Bonaldo Stringher e Ferdinando Martini proposero al quarantasettenne imprenditore Giovanni Treccani, loro amico e mecenate, di finanziare la pubblicazione di una grande enciclopedia italiana di cui il nostro paese era sprovvisto. L’idea piacque molto a Treccani e così, il 18 febbraio dell’anno successivo, firmò a Roma l’atto costitutivo. Dell’Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti (nota anche come Enciclopedia Italiana o Treccani), ne facevano parte, oltre Treccani, il filosofo, e già Ministro della Pubblica Istruzione, Giovanni Gentile con il ruolo di direttore scientifico (che manterrà fino al 1938); l’editore e filantropo Calogero Tumminelli, quale direttore editoriale e tipografico (carica mantenuta fino al XVIII volume), Antonio Pagliaro, filosofo del linguaggio con la carica di Redattore capo,  gli economisti Luigi Einaudi e Angelo Sraffa, Pietro Bonfante, il ministro Alberto De Stefani, il pittore Vittorio Grassi, Gian Alberto Blanc, Vittorio Scialoja, l'ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Ferdinando Martini, lo storiografo Gaetano De Sanctis, il presidente del Senato Tommaso Tittoni, il maresciallo Luigi Cadorna, il giurista Silvio Longhi, il giornalista Ugo Ojetti, il medico Ettore Marchiafava e lo storiografo Francesco Salata. Molti dei quali, nel 1925, aderirono al Manifesto degli intellettuali fascisti redatto dallo stesso Gentile.

Giovanni Gentile coinvolse 3.266 studiosi di diverso orientamento politico poiché, come scrive Amedeo Benedetti nel suo L'Enciclopedia Italiana Treccani e la sua biblioteca (Biblioteche Oggi, Milano, n. 8, ottobre 2005, p. 41): «nell'opera si doveva coinvolgere tutta la migliore cultura nazionale, compresi molti studiosi ebrei o notoriamente antifascisti, che ebbero spesso da tale lavoro il loro unico sostentamento».
Il lavoro preparatorio durò fino al 1928 con la composizione del comitato tecnico composto dai direttori delle 48 sezioni e la stesura del lemmario. I temi affrontati portarono alla definizione di 60 mila voci principali e oltre 240 mila secondarie.
Nel 1929, a seguito dei contrasti tra Gentile e Pagliaro, quest’ultimo fu sostituito dal filologo linguista ed esperantista Bruno Migliorini (che ricoprirà per anni il ruolo di presidente dell'Accademia della Crusca) e poi da Umberto Bosco, presidente onorario dell'Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua e Letteratura Italiana, membro dell'Accademia nazionale dei Lincei e ideatore e direttore della monumentale Enciclopedia Dantesca.
L’Enciclopedia venne pubblicata in 36 volumi (l’ultimo composto dagli indici), dal 1929 al 1937, ognuno dei quali contava circa un migliaio di pagine,