Giovanni Gentile con la prima edizione Treccani |
Nel
1933, l’Istituto dell'Enciclopedia Italiana, il cui presidente, da poco nominato, era il fisico Premio Nobel, Guglielmo Marconi e i due vice presidenti, i fondatori, Giovanni Treccani, mecenate, e il filosofo Giovanni Gentile, pubblicò il diciannovesimo
volume dell’Enciclopedia Italiana di
scienze, lettere ed arti
Il volume, composto dalle voci da Indi a Ita, conteneva la
prima versione della voce Inghilterra
suddivisa in sette sottosezioni: Storia.
– Lingua. – Etnografia e folklore. – Arti figurative: Architettura; Pittura; Scultura; Incisione; Miniatura; Vetri dipinti; Oreficerie,
avorî, ecc. – Musica. – Letteratura. – Diritto.
Alla
stesura di questa voce, furono chiamati a collaborare: il geografo Roberto Almagià, già membro dell'Accademia
Nazionale dei Lincei (dal 1932) e poi della Società Geografica Italiana (di cui
ricoprì la carica di presidente nel 1944-45); lo scrittore, saggista, critico
letterario e docente Mario Praz; Mario Sarfatti, studioso di diritto
inglese e comparato all'Università di Torino (fino al 1938); lo zoologo e
geografo britannico Herbert John Fleure,
segretario della Geographical Association e presidente della Cambrian
Archaeological Association; Sir John
Newenham Summerson, considerato tra i più importanti storici
dell'architettura britannica del secolo scorso; Arthur Poham, storico dell’arte britannico che lavorò per
moltissimi anni al British Museum di Londra con particolare riferimento all’arte
italiana; Edward Dent, scrittore inglese di opere influenti sulle opere di
Mozart, Ferruccio Busoni, Alessandro Scarlatti e Handel; Alexander Hamilton Thompson, che ricoprì il ruolo di Professore di
storia medievale all’Università di Leeds durante il periodo in cui Tolkien era
Professore di lingua inglese nella stessa università e il professor Eric Valantine Gordon amico e collega di Tolkien con il quale,
nel 1925, diede alle stampe il Sir
Gawain and the Green Knight.
E. V. Gordon e J. R. R. Tolkien
Eric Valentine Gordon |
Eric
Valentine Gordon nacque
nel 1896 e fu un filologo noto come curatore di testi di germanistica medievale
e docente a Leeds e Manchester in lingue medievali germaniche. Si formò al
Victoria College, British Columbia e alla McGill University, in Canada e nel
1915 si trasferì presso l’University College di Oxford essendo tra gli otto
canadesi ad ottenere la prestigiosa borsa Rhodes Scholars. Nel 1916 si
arruolò nell’artiglieria ma fu congedato per problemi di salute anche se
continuò a lavorare per il Ministries of National Service and Food.
Nel 1919 fece ritorno a Oxford ottenendo, l’anno seguente, una seconda
classe Bachelor of Art avendo, in parte, la figura di Tolkien
quale suo tutor. Nel 1922 ottenne la nomina al Dipartimento d’Inglese presso
l’Università di Leeds abbandonando il B. Litt iniziato qualche hanno prima a
Oxford. Lavorò a Leeds fino al 1931 introducendo nel suo curriculum la
conoscenza del norreno e poi dell’islandese, pubblicando nel 1925, con Tolkien,
il Sir
Gawain and the Green Knight, e nel 1927 An
Introduction to Old Norse. Assieme a Tolkien diede avvio anche al
Viking Club, in cui si leggevano testi di saghe in antico islandese aperte a
studenti e docenti e dove s’inventavano poesie in anglosassone, norreno o
gotico. Una raccolta di questi lavori inediti, fu anche pubblicata – senza
autorizzazione – nel volume Songs
for the Philologists. Dopo il ritorno di Tolkien a Oxford, nel
1926, Gordon divenne professore di Lingua inglese e supervisionò l’acquisizione,
per conto della Biblioteca dell’Università, della biblioteca di Bogi
Thorarensen Melsteð, oggi riconosciuta come una delle più importanti collezione
al mondo di testi islandesi. Per i suoi servigi alla cultura islandese fu
nominato, nel 1930, Cavaliere del Royal Icelandic Order of the Falcon.
Tra i suoi più importanti studenti a Leeds ci furono Albert Hugh Smith, J. A.
Thompson e Ida Lilian Pickles che sposò nel 1930 e dalla quale ebbe quattro
figli. Nel 1931, ottenne l’incarico di Smith Professor di
Lingua e Filologia Germanica presso l’Università di Manchester dove concentrò i
suoi studi sull’anglosassone e il Medio inglese. Morì improvvisamente per
complicanze a seguito di un’operazione per rimuovere calcoli biliari. Dopo la
sua morte, la vedova di Gordon, Ida, gli subentrò nell’insegnamento a
Manchester e diede alle stampe alcuni lavori del marito, anche con l’aiuto di
Tolkien, come The
Seafarer e The
Battle of Maldon. E nel 1953, l’Oxford University Press diede alla
stampe il Pearl
di E. V. Gordon che vide un contribuito di J. R. R. Tolkien a una parte
dell’introduzione, Form and Purpose
(pp. xi-xix).
La voce scritta da Gordon
Il
nome di Gordon è citato nell’elenco dei collaboratori a pagina xi del diciannovesimo
volume del 1933 in cui si riportano le iniziali poi in calce alle voci e il titolo e ruolo
del collaboratore:
E. V. G. E. V. Gordon, prof. nell’Università di Manchester: Linguistic.
Dal
1931, infatti, Gordon ricopriva l’incarico di Smith Professor di
Lingua e Filologia Germanica presso l’Università di Manchester che mantenne
fino al 1938, anno della sua prematura scomparsa.
Gordon,
per la voce Inghilterra, curò la
sezione Lingua da pagina 262 a pagina
266 dove citò, nella Bibliografia tra i testi in Medio-inglese:
K. Sisam, Fourteenth Century Verse and Prose, con un glossario di J. R. R. Tolkien, Oxford 1923.
Il
testo di Gordon presente nel diciannovesimo volume dell’Enciclopedia Italiana è
presente sul portale on-line della Treccani
(che ne detiene ogni diritto) e qui si riporta per intero.
Lingua
Tutte
le lingue dell'Europa moderna sono d'origine mista; ma di tutte, l'inglese è la
più eterogenea. Gli elementi d'origine non locale sono così ingenti, che si è
perfino discusso se la lingua inglese attuale sia, in un qualche senso storico,
veramente inglese, giacché, nei dizionarî, le parole d'origine latina sono più
numerose di quelle d'ogni altra provenienza. A questa constatazione si può
opporre che è d'origine prettamente inglese proprio quella parte della lingua
che è più largamente usata, sia in letteratura, sia nel parlare quotidiano.
Questa parte, cioè, deriva dalla lingua parlata dai popoli inglesi (Angli,
Sassoni, Iuti) che si stanziarono nella Britannia nei secoli V e VI. Quando si
tenga conto della frequenza dell'uso l'elemento locale ha, senza confronto, la
maggiore importanza. Inoltre, la struttura grammaticale è quasi interamente
formata su basi locali, e le forme d'espressione più naturali, specialmente
nell'uso parlato, appartengono essenzialmente a questa tradizione. Tuttavia,
gl'influssi stranieri hanno prodotto nello spirito e nella forma della lingua
profondi mutamenti, in parte a vantaggio e in parte a svantaggio. Le fonti
straniere hanno ampliato il vocabolario, al punto che l'inglese è giunto a
possedere un numero di parole maggiore di quello d'ogni altra lingua e che si
ritiene un po' superiore a 300.000. Ma sebbene le sue risorse siano state in
tal modo arricchite, la lingua è stata anche ingombrata da parole che sono vive
solo a metà, e che si sono male naturalizzate anche per l'uso letterario. Gli
elementi presi a prestito da fonti straniere hanno reso l'inglese più vario e
flessibile e hanno accresciuto le risorse dello scrittore artista; ma si è
avuto anche il risultato non desiderabile d'impoverire la tradizione locale.
Per conseguenza, le classi meno colte che si sono attenute a quella tradizione,
posseggono risorse linguistiche inferiori a quelle che le medesime classi hanno
in altri paesi d'Europa. Più accentuata che in altre nazioni europee è quindi
la differenza tra linguaggio delle persone colte e delle incolte, tra lingua
parlata e lingua letteraria. Seguiremo ora il processo storico che ha condotto
a questi risultati.
Periodo
anglosassone (450-1100).
- La lingua che gli Angli portarono nella Britannia era uno dei dialetti
nord-occidentali del ramo germanico dell'ovest. Suo più prossimo parente tra i
più antichi linguaggi germanici è l'antico frisone e, subito dopo, l'antico
sassone. All'epoca dell'emigrazione in Britannia, le tribù angliche e quelle
frisoni, come anche il gruppo sassone che rimase sul continente, dovevano
parlare sostanzialmente il medesimo dialetto (anglo-frisone). È certo che le
tribù passate in Britannia usavano un linguaggio quasi completamente uniforme;
ma dopo lo stanziamento in Inghilterra si svilupparono differenze dialettali i
cui confini coincisero, all'ingrosso, con quelli dei diversi regni. Nei piu antichi
documenti scritti, che risalgono ai secoli VII, VIII e IX, si possono
discernere quattro dialetti principali che probabilmente erano già distinti fin
dal sec. VI. Nella zona degli Angli si trovano i due dialetti della Northumbria
e della Mercia; nel sud-est, il dialetto del regno iuto del Kent, e, con esso
strettamente imparentato, il sassone orientale; e nel sud-ovest, il dialetto
sassone occidentale del Wessex. Durante la diversificazione, le differenze
principali sorsero nella struttura fonetica della lingua, perché la
diversificazione non agì in maniera identica in tutte le parti del paese. Tra i
mutamenti che alterarono profondamente il linguaggio anteriormente all'epoca
dei primi documenti scritti, furono: lo "sdoppiamento" delle vocali dinanzi
a certe consonanti, fenomeno più accentuato nel sassone occidentale e nel Kent
che non in altri dialetti (p. es., alla parola che in sassone occidentale e in
dialetto del Kent era ceald = cold, nella
Northumbria e nella Mercia corrisponde cald, che è la forma da cui
deriva il moderno cold); la metafonia (Umlaut) prodotta
da i o j che normalmente scomparvero dopo
aver modificato la vocale precedente. Così la metafonia di i in
un primitivo *nēadi produsse il sassone occidentale nīed,
mentre negli altri dialetti si ebbe nēd, che è la forma da cui
deriva il moderno need. Il mutamento di vocale nella parola
moderna mouse, col plurale mice, e in pochi altri nomi,
è ugualmente dovuto alla metafonia avvenuta nel sec. VI. I mutamenti fonetici
più importanti del periodo anglosassone erano, intorno al 600, già compiuti, e
i dialetti che allora si formarono sono tuttora la base delle differenze
dialettali che si riscontrano nell'inglese parlato d'oggi.
Nella
più antica poesia anglosassone conservataci (composta nei secoli VII e VIII),
sono evidenti un vocabolario e una sintassi poetici speciali. Dalla ricchezza
ed elaboratezza di questo linguaggio poetico, come anche dalla sua parentela
col linguaggio poetico dell'antico sassone e dell'antico norvegese, si può
vedere che la poesia anglosassone è frutto d'una tradizione molte volte
secolare. È altrettanto evidente, però, che la comune base germanica si
sviluppò e maturò in Inghilterra assai rapidamente. Un'opera delle proporzioni
e della coscienza artistica del Beowulf non fu né avrebbe
potuto esser prodotta al suo tempo (circa 750) da nessun'altra nazione di
stirpe germanica. Questo linguaggio poetico degli Anglosassoni è notevole per
sonorità, per densità di significati e ricchezza di sinonimi. In un eguale
numero di versi, si trova nel Beowulf un vocabolario più ampio
che nel Paradiso perduto.
Di
questa primitiva poesia ben poco ci è giunto; ma la maggior parte di quel che
ce ne rimane sembra fosse composto nel territorio degli Angli: pare che in
Northumbria sia esistita una scuola poetica particolarmente brillante. La
cultura northumbrica fu annientata nel nono secolo dall'invasione dei
Vichinghi, e dopo la spartizione dell'Inghilterra tra il re Alfredo dei Sassoni
occidentali e gl'invasori vichinghi, il centro letterario si spostò al Wessex.
Gl'impulsi che ravvivarono e svilupparono la cultura, vennero dal Wessex o
agirono attraverso di esso, e il sassone occidentale divenne a poco a poco la
lingua letteraria e ufficiale dell'Inghilterra. Anche la poesia più antica,
sebbene composta soprattutto in dialetti angli, ci è giunta solo in copie dei
Sassoni occidentali. Gli altri dialetti sono assai scarsamente rappresentati
dai documenti, molti dei quali non hanno interesse letterario, consistendo in
gran parte di lettere patenti o di glosse a versioni latine dei Salmi o dei
Vangeli.
Tra
l'epoca dei primi documenti scritti e la fine del periodo anglosassone si
verificarono nella lingua grandi mutamenti; maggiori di quanto la tradizione
conservatrice dell'ortografia tra i Sassoni occidentali non lasci senz'altro
apparire. Già alla fine del sec. X le inflessioni grammaticali erano attenuate
e confuse, e durante il secolo stesso, in Northumbria, i generi grammaticali
mostravano già la tendenza a cadere. Diffusissimi erano i mutamenti nella
quantità delle vocali: per es., le brevi venivano allungate dinanzi a nd, ld e
altri gruppi di consonanti, se non erano seguite da una terza consonante. Così
la differenza vocalica tra le parole moderne child e children data
da quel tempo. La semplificazione dei dittonghi era ben avanzata e forse in
alcuni dialetti già compiuta (cfr. l'anglosassone deop e il
mod. deep). Tuttavia questi mutamenti non erano di solito indicati
da nessuna modificazione ortografica.
In
quel periodo, gl'influssi stranieri ebbero sulla lingua scarso effetto.
All'infuori dei nomi di luoghi, di monti e di fiumi, i conquistatori inglesi
adottarono poche parole dei Britanni. Molto più che da questi, gl'Inglesi
subirono (in seguito alle missioni mandate da Iona in Northumbria nel sec. VII)
influssi dagl'Irlandesi, dai quali derivarono anche lo stile della scrittura
usata nei testi in volgare (il latino veniva più spesso copiato in scrittura
continentale) e alcune poche aggiunte al vocabolario ecclesiastico e
letterario: per es., cursian (moderno curse). La
conversione al cristianesimo e l'organizzazione della Chiesa introdussero
naturalmente numerosi elementi latini, soprattutto ecclesiastici e letterarî:
vocaboli come munuc (moderno monk), crēda (mod. creed), cleric (mod. clerk).
Tuttavia, anche prima dell'arrivo dei missionarî, s'era infiltrato nell'inglese
un certo numero di parole latine riconoscibili attraverso le modificazioni di
suono, proprie dell'inglese antico, da esse subite. Tali sono, per es., cealc (con
"sdoppiamento", dal latino calcem, ingl. mod. chalk); ynce (con
metafonia della i; latino uncia, ingl. mod. inch).
Dagli stanziamenti vichinghi nel nord e nell'est dell'Inghilterra, avvenuti
soprattutto nel periodo 867-950, e dall'influsso danese alla corte di Canuto e
dei suoi figli nel sec. XI, derivò l'apparizione nell'anglosassone di circa un
centinaio di parole scandinave. Gli effetti linguistici di tali stanziamenti
furono però più appariscenti dopo il 1200. Le parole scandinave introdotte
durante il periodo anglosassone sono quasi tutte connesse con la guerra, col
grado sociale e col governo. Per es., lagu (mod. law), husting (mod. husting);
la parola indigena eorl significava "guerriero", ma
per influsso del vocabolo scandinavo . jarl fu condotta a
denotare un grado di nobiltà (ingl. mod. earl). Nel secolo XI
apparve anche l'influsso francese, specie durante il regno d'Edoardo il
Confessore, che chiamò in Inghilterra molti Normanni. Prūd (ingl.
mod. proud) e prçdo (mod. pride)
furono tra le prime parole francesi introdotte in Inghilterra.
Tuttavia,
al confronto dei successivi periodi di lingua inglese, l'anglosassone aveva un
vocabolario fondamentalmente omogeneo. In generale, esso fu anche periodo di
compiuta flessione e possedette un più o meno rigido sistema di generi
grammaticali. Inoltre, com'è naturale in un periodo flessivo, il ritmo
caratteristico della lingua ru grave, misurato e sonoro.
Periodo
medievale (11oo-1474).
- Per questo periodo si parla comunemente di medio-inglese. Molti storici
considerano vero inizio del periodo medio-inglese la conquista normanna del
1066, nella quale essi vedono l'origine del forte influsso francese, il quale
costituì uno dei fattori più importanti negli sviluppi caratteristici del
periodo stesso. Tuttavia, la conquista normanna non ebbe sulla lingua effetto
immediato e i mutamenti prodotti dall'influsso francese non furono così grandi
o improvvisi come la forma scritta della lingua farebbe credere. I centri
culturali si trovarono ben presto in mani francesi e intorno al 1225 l'ortografia
dei documenti fu non meno francese che inglese. Questa modificazione
dell'ortografia tradizionale offrì anche opportunità per una rappresentazione
fonetica della pronunzia effettiva, più fedele di quella prevalsa nel tardo
periodo anglosassone. Un notevole tentativo di adattare alla rappresentazione
fonetica l'ortografia inglese tradizionale fu compiuto dal canonico agostiniano
Orm: nell'Ormulum (circa 1220) egli raddoppiò sistematicamente le
consonanti dopo le vocali brevi (salvo per le vocali in sillaba aperta) e
distinse quattro specie di suoni della g. La sua grafia,
insolitamente sistematica, è una delle più sicure fonti d'informazione sulla
lingua di quel tempo. Effetto sulla struttura organica dell'inglese ebbe,
anteriormente al francese, l'influsso degli stanziamenti scandinavi. Per quasi
un secolo e mezzo dall'inizio di tali stanziamenti non è visibile nessuna
importante mescolanza di scandinavo e d'inglese: l'Ormulum è il
primo testo inglese che contiene molte parole scandinave. Tuttavia è probabile
che la trasfusione di vocabolario fosse compiuta soprattutto a partire dal
1050. La stretta parentela tra l'antico scandinavo e l'inglese rendeva
un'intima mescolanza tra di esse più facile che non tra l'inglese e il
francese: ciò spiega come furono prese a prestito non solo parole connesse con
occupazioni e con la cultura caratteristica, ma anche parole di valore
piuttosto grammaticale che intellettuale, come pogh (inglese
moderno though), pay (ingl. mod. they)
e la desinenza del participio presente in -ande (ora disusata). Le
parole scandinave erano entrate nell'uso specie nel nord e nell'est. La maggior
parte di quelle attualmente correnti nell'inglese normale (standard English)
vennero dalla regione orientale dei Midlands; altre, sconosciute al linguaggio
tipico, vivono tuttora in dialetti settentrionali, come addle per earn, ettle per intend.
Uno
dei primi effetti della conquista normanna fu che l'antico vocabolario poetico
andò perduto, poiché la nobiltà anglosassone, che ne era la principale
depositaria, fu quasi completamente distrutta dai conquistatori. Le tradizioni
letterarie locali sopravvissero molto intensamente nell'ovest: è nel Brut di
Layamon, composto nel Worcestershire (circa 1200) che si trova meglio
conservato l'antico vocabolario poetico. L'ovest fu anche la regione in cui
ebbe luogo il "rinnovamento" allitterativo del sec. XIV, quando il
vocabolario poetico anglosassone era, in parte, ancora usato: in Sir
Gawain and the Green Knight (Lancashire meridionale, circa 1375), p. es.,
si trovano le parole burn, freke, renk, segge come
sinonimi per i nobili cavalieri delle corti. Queste parole, mai usate in prosa,
risalgono a una tradizione poetica ininterrotta di circa dieci secoli. Salvo
che nei poemi allitterativi, l'eloquio specificamente poetico del medio-inglese
non fu molto esteso: in poemi come The Owl and the Nightingale (circa
1210) e The Lay of Havelock (circa 1275) la lingua è quasi
identica al parlare quotidiano.
Il
bisogno di parole francesi fu più fortemente sentito quando il francese parlato
in Inghilterra cominciò a decadere e venne sostituito dall'inglese; per molte
occupazioni e situazioni che erano state in mani francesi dal tempo della
conquista, la lingua inglese aveva risorse insufficienti e, di solito, i vocaboli
francesi connessi con quei fatti vennero liberamente adottati.
Il
numero delle parole francesi adottate prima del 1250 non era forte: l'Ormulum in
tutti i suoi 20.000 versi non contiene più d'una dozzina di tali parole; l'Ancrene
Wisse (circa 1230) in quasi 220 pagine reca a un dipresso 225 parole
francesi, meno di un sesto del numero totale dei vocaboli. Queste parole sono
soprattutto culturali e tecniche, relative a occupazioni che erano state tenute
dai conquistatori francesi o nelle quali i Francesi erano riusciti preminenti,
come il governo, la legislazione, la guerra, l'armatura, la caccia, la cucina.
Di questi vocaboli, la maggior parte furono adottati nella forma che era
corrente nel parlare anglofrancese; relativamente pochi vennero presi nella forma
continentale.
È
poco probabile che il francese abbia contribuito alla rapida decadenza che in
questo periodo si manifesta apertamente nelle inflessioni inglesi. Il rapido
mutamento fonetico indebolì molte desinenze in -e, le quali, dopo aver
in tal modo perduto una loro distinta esistenza, caddero. Il tradizionale
sistema d'inflessioni derivato dall'anglosassone è ancora bene rappresentato
in The Owl and the Nightingale, dove si mantengono intatti anche i
generi grammaticali; ma nel sec. XIV la desinenza -es del
nominativo e dell'accusativo plurali maschili si trova estesa a tutti gli altri
casi plurali della maggior parte dei nomi. Il genere grammaticale era stato
sostituito dal genere naturale fin dal sec. XIII e le desinenze dei nomi
originariamente maschili erano state estese alla maggior parte dei nomi d'altri
generi. Nel sec. XV la perdita della -e finale non accentata
ridusse ancor più la declinazione dei nomi alla sua forma attuale. Nei pronomi,
le forme del dativo soppiantarono di solito quelle dell'accusativo: il
dativo him, per es., aveva sostituito l'accusativo hine fin
dal principio del sec. XIV. Ma l'accusativo sopravvive nei dialetti moderni del
SO. con la forma un [-an]. Le inflessioni dei verbi
furono invece assai meglio conservate, specie nel sud.
Altri
mutamenti fonetici modificarono notevolmente la forma della lingua e
accentuarono le differenze tra i dialetti. Fin dal principio del sec. XII gli
antichi dittonghi anglosassoni furono ridotti a suoni semplici, eccetto che nel
sud-est. Circa nel 1200 la frequente vocale ā fu arrotondata
in ï??? [= ???:], salvo che nel nord: eosì
l'anglosassone rād divenne allora rōd (moderno road);
nel nord lo sviluppo fu invece raid che, nel sec. XIX, fu
anche introdotto dallo scozzese nell'inglese normale. Nel sec. XIII le vocali
brevi in sillabe aperte furono allungate, come in mete, in cui la
vocale lunga ha dato il moderno meat che data da quell'epoca.
Soprattutto nel sec. XIII si svilupparono nuovi dittonghi, principalmente dalla
vocalizzazione della g media (fricativa) che perdette a poco a
poco il carattere fricativo e quando fu palatalizzata dal precedere immediato
d'una vocale, diede y [= j]; ma quando fu seguita
da una vocale con interposizione d'altra consonante, diede w.
Così fœgen "contento" ha sviluppo regolare nel medio
inglese e nel moderno fain; ma il connesso verbo fagnian dà fawn.
Per
questi mutamenti e per altri di carattere più locale, le antiche differenze
dialettali, sorte già nei tempi anglosassoni, furono accentuate e moltiplicate.
È chiaro che le divisioni dialettali anglosassoni rimangono la base dei gruppi
dialettali del medio-inglese. Dall'antico northumbrico derivarono i dialetti
della Scozia e dell'Inghilterra settentrionale; in questi ultimi, le forme
orientali e occidentali differiscono tra loro notevolmente. Il dialetto sassone
orientale e quello del Kent sono rappresentati da un distinto gruppo
sudorientale, come il sassone occidentale è rappresentato da un gruppo
sud-occidentale. Una netta divergenza tra i dialetti dei Midlands orientali e
occidentali cominciò probabilmente nel periodo anglosassone e fu in gran parte
conseguenza della spartizione della Mercia tra Alfredo e i Danesi. Durante il
periodo del medio-inglese, nessuno di questi dialetti ebbe un quasiasi titolo per
essere considerato forma tipica dell'inglese, salvo che nella regione in cui
era parlato; e similmente nessuno d'essi ebbe speciale preminenza letteraria,
se si eccettua la regione occidentale che fu la più feconda di poesia lirica e
principale centro della tradizione allitterativa. Alla fine del sec. XIV e
durante il XV il dialetto di Londra cominciò ad assumere nuova e speciale
dignità come lingua della corte reale e di tutta la società elegante e colta
che aveva contatti con la corte o con Londra. Chaucer, Gower e Lydgate, i tre
più famosi poeti del loro tempo, scrissero nell'inglese di Londra e spesso
anche i dotti delle università di Oxford e Cambridge, qualunque fosse la loro
origine, impararono a scrivere nel medesimo tipo di inglese. Così Wycliffe,
dottore a Oxford e nativo del Yorkshire, scrisse un inglese di tipo
essenzialmente londinese e niente affatto settentrionale. L'inglese di Londra
era così in sé stesso d'origine mista e rappresentava in parte le parlate delle
regioni circostanti; ma nel sec. XIV questa base meridionale fu gravemente
sovraccaricata da un elemento dei Midlands orientali. Questo elemento si
rafforzò fino a divenire la base reale del dialetto, di cui le forme
meridionali furono variazioni meno usate. È da questa parlata londinese, in cui
prevalse l'elemento dei Midlands orientali, che è derivato l'inglese tipico
moderno. Attraverso la tradizione dei Midlands orientali l'elemento inglese
autoctono della lingua moderna risale in tal modo fino all'antica forma
dell'anglosassone in uso nella Mercia e non al sassone occidentale che pur era
la forma tipica dell'anglosassone. Il fatto è tuttora evidente nella forma
moderna di molte parole, quali deed, cold, hear, well che
foneticamente non potrebbero derivare da forme del sassone occidentale.
Inglese
moderno (dal
1474 a oggi). - Conviene assumere, come significativa del passaggio dalla
cultura medievale a quella moderna, la data del 1474, quando Caxton impiantò la
prima stamperia in Inghilterra. Inoltre la stampa favorì indubbiamente lo
svolgersi di processi che produssero caratteristici sviluppi moderni, quali il
sorgere e il diffondersi d'una forma tipica dell'inglese e d'una lingua
letteraria notevolmente diversa da quella parlata. Fu anche in quell'epoca che
apparvero altri mutamenti i quali sono di solito considerati come segni del
principio dell'inglese moderno.
Il
meglio definito di questi mutamenti fu quello fonetico assai importante, noto
come "il grande spostamento delle vocali". Per esso ogni vocale lunga
fu elevata approssimativamente alla posizione della vocale immediatamente più
alta, mentre le vocali lunghe già alte, [i:] e [u:], divennero
dittonghi, rispettivamente [e1] e [ou]. Fu questa la prima
divergenza delle vocali inglesi dalla pronunzia "continentale": il
sistema vocalico di Chaucer, p. es., era stato, all'ingrosso, il medesimo che
nell'italiano moderno. La direzione del mutamento che avvenne, è dimostrata
dalle seguenti serie: vocali della serie anteriore: [α:] and [ε:] and [e:] and [i:] and [e1]; vocali della serie posteriore: [???:] and [o:] and [u:] and [ou]. Tra le vocali anteriori, [α:] fu elevata a
[ε:] e l'originale [ε:] (scritto e, ea) fu elevata nel
medesimo tempo a [e:], e così per tutta la serie. Lo spostamento delle
vocali cominciò nella prima metà del sec. XV e fu compiuto solo quasi alla fine
del secolo stesso. Nel sec. XVII un secondo e minore mutamento nelle vocali
lunghe, portò la maggior parte d'esse alla pronunzia odierna. Le vocali brevi
subirono, nel periodo moderno, mutamenti minori: [a] fu elevato ad [ae]
alla fine del sec. XVI, [u] fu abbassato e non arrotondato a [Λ] nel
sec. XVII. È anche da notare l'influsso perturbatore della r sulla
vocale che lo precede: tale vocale precedente prese la tendenza a divenire più
bassa e più rilassata; si sviluppò di solito innanzi alla r una
vocale di passaggio a e alla fine del sec. XVII la r stessa
cadde quando si trovò come finale o innanzi ad altra consonante. Così il
medioinglese there (ðe: r) è attualmente [ðe:
ə], mentre l'e: del medio-inglese normalmente dà le forme moderne [i:]
oppure [ij].
In
tutta la storia della fonetica inglese, le vocali si sono mostrate più
instabili delle consonanti. Molti Inglesi moderni sentono che le consonanti
d'una parola costituiscono un'intelaiatura fissa, mentre qualche variazione nei
suoni delle vocali è inevitabile in regioni e ambienti sociali diversi. Le
consonanti si sono quindi conservate assai meglio. I soli mutamenti che si
possano menzionare qui, sono la labializzazione della velare finale gh (=
χ) divenuta, nel sec. XVI, f, come in rough (pron. rΛf),
mentre gh palatale (ç) cadde nel sec. XV, come in light, high (pron.
attuale: lalt, hal).
Questi
mutamenti sono nella tradizione dell'inglese normale (standard English)
che dapprima fu l'inglese di Londra, ma come lingua della società londinese
migliore. Questa connessione sociale si accentuò sempre più, finché l'inglese
normale divenne lingua esclusivamente di certe classi sociali, quelle educate,
colte, eleganti, indipendentemente da qualsiasi località. Gl'inizî di questo
mutamento si possono vedere negli scritti di George Puttenham (The Arte of
English Poesie, 1589) il quale consiglia che, come normale,
"prenderete il linguaggio consueto della corte e quello di Londra e delle
contee che la circondano entro il raggio di 60 miglia"; ma aggiunge:
"non dico questo, ma che in ogni contea vi siano gentiluomini e altri che
parlano il meridionale bene come noi del Middlesex o del Surrey, ma non il
popolo comune d'ogni contea". Attualmente il vernacolo londinese o cockney è
lontano dall'inglese tipico quanto ogni altro dialetto. Tra i dialetti che
rappresentano le più strette tradizioni locali e lo standard English,
esistono molte varietà e molti compromessi. L'inglese settentrionale, anche
presso le persone colte, conserva la vocale a in parole
come cat, man; vocale che nell'inglese tipico è stata
elevata ad [œ] fin dal sec. XVI. La r conserva una
vibrazione forte in Scozia e attenuata nell'Inghilterra occidentale, in Irlanda
e negli stati settentrionali dell'America, anche in posizioni nelle quali essa
cadde del tutto nell'inglese normale alla fine del sec. XVII. Alcuni dialetti
locali vanno rapidamente scomparendo, ma l'inglese provinciale s'avvicina
allo standard English con straordinaria lentezza.
Di
solito, i vari mutamenti fonetici non sono stati accompagnati da corrispondenti
mutamenti ortografici: per es., la parola del medio-inglese name è
scritta tuttora nella medesima forma, sebbene la -e finale non
venga più pronunziata circa dal 1400 e la vocale radicale sia mutata da [α:] in
[ε:], poi in [e:] e infine in [e1]. La base dell'ortografia
inglese è ancora medievale, sebbene non vi sia più la libertà medievale
nell'uso di varianti ortografiche. Tuttavia, agl'inizi dell'inglese moderno
tale libertà vigeva ancora; era anzi accresciuta dalla mescolanza e dalla
confusione di tradizioni medievali originariamente distinte. Nel sec. XVI
l'ortografia venne inoltre confusa dai tentativi dei dotti d'introdurre nelle
parole francesi e anche inglesi delle lettere che dovevano indicarne la
connessione col latino. In tal modo fu inserita una b nella
parola doubt, una s nella parola island per
indicare la derivazione latina rispettivamente da dubitum e insula.
E tuttavia all'inizio l'inglese moderno aveva principî ortografici propri: le
vocali [e:] e [i:] erano distinte come ea ed ee,
distinzione sopravvissuta, ma nella grafia solamente, giacché nel sec. XVII le
due vocali confluirono come [i:], e steal e steel sono
oggi omofoni. Durante il sec. XVII l'ortografia divenne meno mutevole e al
principio del sec. XVIII fu praticamente fissata. Da allora è stata mutata
pochissimo.
Sembra
essere stata generale l'impressione che il fissarsi dell'ortografia fornisse
una norma durevole, capace di guidare nella pronunzia. Samuel Johnson fu il
primo a dare espressione definita a quest'idea, quando scrisse nella prefazione
al suo dizionario (1775): "Per la pronunzia, la miglior regola generale è
di considerare più elegante l'eloquio di coloro che meno deviano dalle parole
scritte". Da allora in poi, la parola scritta ha esercitato sulla
pronunzia un influsso sempre maggiore. Numerose pronunzie tradizionali sono
state eliminate nello standard English e retrocesse al livello
di volgarismi: p. es. sovdze (soldier nella forma
scritta) è sostituito dalla pronunzia ortografica (soułdjə). Lettere che
in epoche trascorse non s'erano pronunziate mai, sono state oggi messe in vita,
dopo secoli d'esistenza puramente teorica, come l in fault o h in humour (divenuta
d'uso generale solo nella passata generazione). Almeno uno dei mutamenti
fonetici si è perduto, e cioè il mutamento della finale [η] in [n]: per
l'influsso dell'ortografia, una pronunzia come s1η1n]
per singing è antiquata nell'inglese normale e costituisce
un'affettazione. Il ripristino di suoni per influsso delle forme scritte non è
stato interamente nocivo; ma è difficile ammettere che una così larga
interferenza con la tradizione della lingua parlata riesca in generale utile.
I
mutamenti grammaticali nel periodo moderno non sono stati numerosi. Tra i più
importanti, vi è l'adozione di -(e)s come desinenza della
terza persona singolare nel presente indicativo dei verbi, in sostituzione
dell'antica forma -(e)th. Nel sec. XVI erano usate entrambe le
desinenze: la forma -(e)s cominciò a prevalere durante il
sec. XVII. Dal sec. XVIII la forma -(e)th appartiene
unicamente al linguaggio poetico ed ecclesiastico. Agl'inizi dell'inglese
moderno era frequente la confusione tra il nominativo e l'accusativo dei
pronomi personali. Shakespeare scrive: between you and I; shall's
to the Capitol?, forme ora considerate come solecismi. L'inglese odierno esita ancora
tra it is I e it is me, la seconda forma è più
frequente nell'uso parlato. Il tardo medio-inglese e gl'inizi dell'inglese
moderno videro anche larghe riforme dei verbi irregolari e numerosi passaggi di
verbi dalla coniugazione irregolare a quella regolare. Le forme del soggiuntivo
stanno ora diventando antiquate. Nell'inglese moderno il congiuntivo e molti
altri modi, tempi e aspetti verbali sono espressi mediante ausiliari. Il
sistema verbale moderno, sebbene morfologicamente semplificato, è tuttavia più
complesso dell'antico sistema anglosassone ed esprime con maggiore precisione
distinzioni più numerose.
I
mutamenti maggiori del periodo moderno sono nel vocabolario. Il numero delle
parole usate è stato, secondo una stima approssimativa, triplicato. Le fonti
che hanno fornito la maggior parte del materiale nuovo sono il latino e il
greco, e fu il Rinascimento che fece affluire le nuove parole dalle lingue
classiche. Era ammissibile, specie nel sec. XVI, di usare in inglese qualunque
parola latina, semplicemente lasciandone cadere la desinenza o sostituendola
con una -e. Agl'inizi del periodo moderno molti scrittori, credendo a
una superiorità del latino in fatto di retorica. si illusero d'infondere virtù
classiche nel loro stile usando il maggior numero di parole classiche
compatibile coi limiti della struttura grammaticale e con l'intelligibilità.
L'amore di questo vocabolario latinizzato si vede nell'idealità
"aurea" del sec. XV e raggiunge il massimo nel secolo successivo.
Numerosi scrittori e critici dell'epoca (per es., Th. Wilson, 1553; G.
Puttenham, 1589; Shakespeare in Love's Labours Lost) protestarono
contro questa assunzione in blocco di parole strane e pedantesche, spesso
chiamate spregiativamente "termini da calamaio"; altri, come A. Gill
(1623), il maestro di Milton, andarono anche oltre e dichiararono che lo studio
delle lingue classiche stava rovinando l'inglese. Tuttavia, l'amore delle
"parole da calamaio" e dello stile fortemente latinizzato non è mai
mancato del tutto da quando lo stile "aureo" trovò inizialmente
favore. E bisogna riconoscere che il vocabolario classico, nonostante il malo
uso, soddisfece in inglese a un profondo e autentico bisogno. Le risorse
intellettuali della lingua alla fine del periodo del medio-inglese erano
relativamente povere e il rapido sviluppo intellettuale dei secoli successivi
sarebbe stato impossibile senza un arricchimento della lingua per i concetti
nuovi. Simili arricchimenti non si possono inventare dal nulla, ma possono solo
esser presi da qualche fonte viva. L'elemento classico non manca di valore,
neppure quando sembra fornire doppioni di parole locali, poiché i nuovi
vocaboli quasi sempre esprimono una diversa sfumatura di significato, hanno
minori associazioni emotive, ma più dignità e volume di suono. Gli elementi
classici arricchirono e variarono le risorse dello scrittore artista, e non
sono mancati maestri dello stile inglese, Shakespeare, Milton, Th. Browne, che
sapessero far pieno uso del vocabolario classico come di quello originario
inglese. Ma bisogna anche ammettere che sono numerosi gli scrittori il cui
stile è stato viziato da una latinizzazione superflua e senza misura.
Le
fonti di vari progressi culturali del periodo moderno sono di solito rese
evidenti dalle parole prese a prestito che con essi si riconnettono.
Così landscape, easel, sketch (quest'ultima
dall'italiano schizzo) prese a prestito dall'olandese, attestano
l'influsso esercitato dall'Olanda nella pittura durante i secoli XVI e XVII.
Dall'italiano fu preso un gran numero di termini musicali dal sec. XVII e anche
termini d'architettura nei secoli XVI e XVII. Il progresso scientifico degli
ultimi due secoli ha aggiunto moltissime parole, in parte ereditate dal latino
degli scienziati medievali. La scienza moderna ha ereditato inoltre il metodo
medievale di coniare nuove parole da elementi latini e greci per nuove
scoperte.
La
lingua inglese fuori dell'Inghilterra.
- L'inglese è stato poi trapiantato in molti paesi dove sono apparsi sviluppi
più o meno indipendenti. Negli Stati Uniti d'America, la divergenza dalle
tradizioni dell'Inghilterra è chiaramente percettibile. Come di consueto quando
un gruppo linguistico è geograficamente diviso, ogni divisione ha conservato
combinazioni diverse di modi arcaici che altre divisioni hanno invece perduto e
ognuna ha iniziato sviluppi nuovi. La base originaria dell'inglese di America
fu il linguaggio popolare dei Midlands orientali inglesi nel secolo XVII: due
sopravvivenze notevoli di tale linguaggio sono le vocali nasalizzate e la
conservazione della r indebolita dinnanzi a consonante o
quando sia finale di parola; cose che si verificano in Irlanda e
nell'Inghilterra occidentale, ma che sono perdute nell'inglese normale
(v. stati uniti: Lingue). L'inglese australiano, almeno nella sua forma
popolare, presenta affinità col cockney d'Inghilterra. Nel
Canada vi è mescolanza di tradizioni americane con tardi elementi
dell'Inghilterra e della Scozia; ma l'elemento americano è in prevalenza. Si
calcola che, fra tutti i diversi paesi in cui è in uso, l'inglese sia parlato
da 165 milioni d'individui. È stato spesso proposto di usar l'inglese come
lingua internazionale (v. internazionali, lingue). Un noto
riformatore ne ha rifatto l'ortografia, ribattezzandolo Anglic, per
renderlo adatto a questo scopo. Ciò indica a sufficienza che cosa dovrebbe
soffrire la lingua, se mai dovesse venir adottata come universale.
Bibl.: Opere generali: A. G. Kennedy, A
Bibliography of Writings on the English Language (alla fine del 1922),
Cambridge (U. S. A.)-New Haven 1927. Brevi storie generali della lingua inglese
sono: H. Bradley, The Making of English, Londra 1911; O.
Jespersen, Growth and Structure of the English Language, 5ª ed.,
Lipsia e Oxford 1926; H. C. Wyld, A Short History of English, 3ª
ed., Londra 1927. Eccellente,
ma tuttora incompleta, K. Luick, Historische Grammatik der englischen
Sprache, Lipsia 1914-29 (solo Il vol. I). Per
la sintassi storica: L. Kellner, Historical Outlines of English Syntax,
Londra 1924; E. Einenkel, Historische Syntax der englischen Sprache,
Berlino e Lipsia 1916.
Anglosassone: Grammatische: K. D.
Bülbring, Altenglisches Elementarbuch (sola 1ª parte),
Heidelberg 1902 (per la sola fonetica). Le più ampie grammatiche descrittive
sono: E. Sievers, Angelsächsische Grammatik, 3ª ed., Halle 1908; R.
Girvan, Angelsaksisch Handboek, Haarlem 1832; comparativa: J. e E.
M. Wright, An Old English Grammar, 3ª ed., Oxford 1925. Dizionari:
J. R. Clark Hall, A Concise Anglo-Saxon Dictionary, 3ª ed.,
Cambridge 1932; Grein, Sprachschatz der angelsächsischen Dichter,
riveduto da J. J. Köhler, Heidelberg 1912 (per la sola poesia); F.
Holthausen, Altenglisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg
1932 segg. (diz. etim.). Il più completo è Bosworth e Toller, An
Anglo-Saxon Dictionary, Oxford 1898, con ampio supplemento di Toller, 1921.
Per saggi della letteratura e dei dialetti: H. Sweet, An Anglo-Saxon
Reader, 10ª ed., riveduta da C. T. Onions, Oxford 1933.
Medio-inglese: Grammatiche: R. Jordan, Handbuch
der mittelenglischen Grammatik, I, Heidelberg 1925 (per la sola fonetica);
J. e E. M. Wright, An Elementary Middle English Grammar, 2ª ed.,
Oxford 1928 (fonetica e grammatica). Dizionarî: F. H.
Stratmann, A Middle English Dictionary, riveduto da H. Bradley,
Oxford 1891; il New English Dictionary, citato appresso. Saggi della letteratura e dei
dialetti: J. Hall, Early Middle English 1130-1250, voll. 2,
Oxford 1920; K. Sisam, Fourteenth Century Verse and Prose, con un
glossario di J. R. R. Tolkien, Oxford 1923; E. Björkmann, Scandinavian
Loan-words in Middle English, parti 2, Halle 1900-02 (eccellente).
Inglese moderno:
Grammatiche: H. Sweet, A New English Grammar, voll. 2, Oxford
1900-03 (grammatica descrittiva); J. e E. M. Wright, An Elementary
Historical New English Grammar, Oxford 1924 (grammatica storica,
specialmente per la fonetica e la grammatica elementare); O. Jespersen, A
Modern English Grammar on Historical Principle, voll. 4 (tuttora incompleta),
Heidelberg 1909 segg. (per la fonetica e la sintassi); H. C. Wyld, A
History of Modern Colloquial English, 2ª ed., Londra 1921 (storia
linguistica generale). Per la fonetica: H. Sweet, The Sound of
English, Oxford 1908; I. C. Ward, The Phonetics of English,
Cambridge 1929. Per la lingua di Shakespeare: W. Franz, Shakespeare-Grammatik,
3ª ed., Heidelberg 1924; A. Schmidt, Shakespeare-Lexikon, 3ª ed.
riveduta da G. Sarrazin, Berlino 1902; C. T. Onions, A Shakespeare
Glossary, 2ª ed., Oxford 1919.
Dialetti: J. Wright, The
English Dialect Dictionary and the English Dialect Grammar, voll. 6, Oxford 1896-1905.
Inglese
d'America: G.
Krapp, A History of the English Language in America, Boston 1931;
cfr. inoltre la bibliografia sotto stati uniti: Lingue.
Sull'uso odierno dell'inglese:
H. W. e F. G. Fowler, The King's English, 2ª ediz., Oxford 1908; H.
W. Fowler, A Dictionary of Modern English Usage, Oxford 1926.
Dizionarî: A New English Dictionary on Historical Principles, edito
da Murray, Bradley, Craigie e Onions, voll. 10, Oxford 1886-1928; compendio del precedente,
voll. 3, riveduto da C. T. Onions, 1933 (comprendente parole apparse nella
lingua dal 1100 con esempî di anglosassone); H. W. e F. G. Fowler, The
Concise Oxford Dictionary of Current English, 2ª ed., Oxford 1929 (solo per
l'inglese odierno); per i dialetti, v. sopra. Per
lo slang: J. S. Farmer e W. E. Henley, Slang and its
Analogues, past and present, voll. 7, Londra 1890-1904; un compendio
ne fu edito nel 1905; un'edizione riveduta si cominciò a pubblicare nel
1903-09.
E. V. G.
La nascita dell’Enciclopedia
Treccani (1925)
e la sua prima edizione (1929-1937)
Giovanni Treccani |
Nel
1924, Bonaldo Stringher e Ferdinando Martini proposero al
quarantasettenne imprenditore Giovanni
Treccani, loro amico e mecenate, di finanziare la pubblicazione di una grande
enciclopedia italiana di cui il nostro paese era sprovvisto. L’idea piacque
molto a Treccani e così, il 18 febbraio dell’anno successivo, firmò a Roma
l’atto costitutivo. Dell’Enciclopedia
Italiana di scienze, lettere ed arti (nota anche come Enciclopedia Italiana o Treccani),
ne facevano parte, oltre Treccani, il filosofo, e già Ministro della Pubblica
Istruzione, Giovanni Gentile con il
ruolo di direttore scientifico (che manterrà fino al 1938); l’editore e
filantropo Calogero Tumminelli,
quale direttore editoriale e tipografico (carica mantenuta fino al XVIII
volume), Antonio Pagliaro, filosofo
del linguaggio con la carica di Redattore capo,
gli economisti Luigi Einaudi
e Angelo Sraffa, Pietro Bonfante, il ministro Alberto De Stefani, il pittore Vittorio Grassi, Gian Alberto Blanc, Vittorio
Scialoja, l'ammiraglio Paolo Thaon
di Revel, Ferdinando Martini, lo
storiografo Gaetano De Sanctis, il
presidente del Senato Tommaso Tittoni,
il maresciallo Luigi Cadorna, il
giurista Silvio Longhi, il
giornalista Ugo Ojetti, il medico Ettore Marchiafava e lo storiografo Francesco Salata. Molti dei quali, nel
1925, aderirono al Manifesto degli intellettuali fascisti redatto dallo stesso
Gentile.
Giovanni
Gentile coinvolse 3.266 studiosi di diverso orientamento politico poiché, come
scrive Amedeo Benedetti nel suo L'Enciclopedia
Italiana Treccani e la sua biblioteca (Biblioteche Oggi, Milano, n.
8, ottobre 2005, p. 41): «nell'opera si doveva coinvolgere tutta la migliore
cultura nazionale, compresi molti studiosi ebrei o notoriamente antifascisti,
che ebbero spesso da tale lavoro il loro unico sostentamento».
Il
lavoro preparatorio durò fino al 1928 con la composizione del comitato tecnico
composto dai direttori delle 48 sezioni e la stesura del lemmario. I temi
affrontati portarono alla definizione di 60 mila voci principali e oltre 240
mila secondarie.
Nel
1929, a seguito dei contrasti tra Gentile e Pagliaro, quest’ultimo fu
sostituito dal filologo linguista ed esperantista Bruno Migliorini (che ricoprirà per anni il ruolo di presidente
dell'Accademia della Crusca) e poi da Umberto
Bosco, presidente onorario dell'Associazione Internazionale per gli Studi
di Lingua e Letteratura Italiana, membro dell'Accademia nazionale dei Lincei e ideatore
e direttore della monumentale Enciclopedia Dantesca.
L’Enciclopedia
venne pubblicata in 36 volumi (l’ultimo composto dagli indici), dal 1929 al
1937, ognuno dei quali contava circa un migliaio di pagine,
Negli
anni, a rendere unica l’Enciclopedia Italiana sono stati moltissimi
intellettuali italiani e solo per citarne alcuni: Roberto Almagià, Norberto
Bobbio, Umberto Bosco, Attilio
Celant, Giorgio Levi Della Vida, Gaetano De Sanctis, Renato
Dulbecco, Luigi Einaudi, Julius
Evola, Enrico Fermi, Giovanni
Gentile, Jacques Le Goff, Claude Lévi-Strauss, Guglielmo
Marconi, Bruno Migliorini, Sabatino
Moscati, Rita Levi-Montalcini, Antonino
Pagliaro, Fortunato Pintor, Carlo
Rubbia, Emilio Servadio, Gioacchino
Volpe, Massimo Arcangeli, Salvatore Battaglia, Piero
Crociani, Michelangelo Guidi, Federico
Caffè, Giulio Bertoni, Piero
Fiorelli, Giorgio Levi Della Vida, Giorgio
Petrocchi, Angiola Maria Romanini, Raffaele
Simone, Aleardo Terzi, Alfonso
Traina, Nicola Zingarelli, Ortensio
Zecchino, Carlo Alfonso Nallino, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Federigo
Enriques, Cesare Musatti, Ugo Ojetti,
Raffaele Pettazzoni, Ildebrando Pizzetti, Santi
Romano, Vittorio Vidotto, Giulio Carlo Argan, Lucio
Bianco, Francesco Gabrieli, Giancarlo Pallavicini, Claudio
Magris, Edoardo Amaldi, Carlo Azeglio Ciampi, Tullio
Gregory, Mario Petrucciani, Girolamo
Arnaldi, Giovanni Becatti, Aldo
Ferrabino, Pietro Toesca, Maurizio
Trifone,